Home curiosita Lo Ius feretri, macabro “giudizio di Dio”

Lo Ius feretri, macabro “giudizio di Dio”

1381
0

In un libro di imminente uscita, KILLERS. Gli Apostoli del Male” – libro che ha avuto anche un più che gradito apprezzamento da parte del Maestro del brivido, Dario Argento… – chi scrive ha preso in esame decine di killers, seriali o meno e ha anche analizzato stranissimi metodi investigativi in uso nel passato, come ad esempio quello descritto in questo articolo, lo Ius Feretri.

L’idea che alla presenza, o con il contatto, dell’assassino il sangue sia ancora in grado di sgorgare dalle ferite dell’assassinato risale a molti secoli fa.

Il giurista Paris de Puteo (1410 – 1493), uditore generale, e inquisitore generale di tutto il regno di Napoli, ne parla nel suo trattato “ De Syindicatu”, in cui riferisce alcune strane vicende che hanno per interpreti un probabile omicida, un probabile assassino e visibilissime ferite che sanguinano…

Ad esempio, egli racconta l’incredibile episodio in cui, nell’Anno del Signore 1510, tale Giovanni Austero salì sulla barca di Caronte in seguito a numerose ferite procurategli da uno sconosciuto. I parenti del defunto, sospettando che gli autori dell’omicidio fossero due cacciatori, chiedono subito al giudice di arrestarli e sottoporli al “Giudizio della bara”, allo Ius feretri.

Così si procede e i due, pongono le loro mani sul cadavere, tenendo tra le dita un po’ di lana bianca. Quando uno dei due imputati giura di essere innocente, nulla accade, ma quando lo stesso giuramento viene fatto dall’altro cacciatore, ecco che dal cadavere esce molto sangue che arrossa la lana.

É la prova della colpevolezza e l’imputato subisce la pena che merita!

ius feretri
Il libro del giurista Paride del Pozzo – Paris de Puteo, insomma – in cui si manifesta piena approvazione del “Giudizio della bara”.
Un brano sul Iudicium feretri, tratto da un libro del gesuita Giovanni Stefano Menochio, del 1689, riguardante “… molti passi oscuri della Sacra Scrittura…” e “… riti antichi, historie curiose e profittevoli…”
Altro brano sul Iudicium feretri in cui si ricorda un altro episodio basato sul “sanguinamento del cadavere” post mortem.

Il giurista bolognese Ippolito de Marsiliis – sadico inventore della “tortura della veglia – con rammarico confessò, in tarda età, di non aver utilizzato tale metodo suggeritogli da un anziano della cittadina di Alberga, e di essersi poi pentito di tale scelta poiché ”….non prestando fede a questo sistema egli non procedette contro il prevenuto – ma sì, il colpevole – che in seguito ad altri indizi raccolti contro di lui…”.

Anche l’umanista Marsilio Ficino nella sua “Theologia Platonica, de immortalitate animorum” testimonia del fatto che i giudici del suo tempo erano certi che “… la ferita di un uomo ucciso sanguina di nuovo all’avvicinarsi dell’assassino…”.

Aggiunge – non sappiamo in base a quali basi teoriche – che l’esperimento deve essere fatto sette ore dopo l’avvenuto delitto, prima del rigor mortis.

Frontespizio del raro volume sul Iudicium feretri, ovvero sulla possibilità che un cadavere, sanguinando davanti al suo assassino, ne denunci la colpa.

 

“… Il sangue scorre di nuovo!”

Oh! Vedete, signori, vedete! Le ferite gelate del cadavere di Enrico si sono riaperte e il sangue scorre di nuovo! Arrossisci, arrossisci, ignobile ammasso di deformità; è la tua presenza che fa scorrere del sangue da queste vene gelate che non ne contengono più. Il tuo misfatto inumano e snaturato provoca questo fatto contrario alle leggi della natura.

Parola del “Bardo dell’Avon”!

É infatti Lady Anna – nel primo atto, scena seconda, del “Riccardo III” di William Shakespeare – ad urlare queste parole a Riccardo di Gloucester – futuro re – accanto al cadavere di Enrico VI, assassinato dal deforme York.

Ma Renè Descartes – per gli amici Cartesio – pare che fosse dello stesso avviso…

E tanto più esse – parla delle ”particele della materia sottile”. N.d.A. – si muovono senza posa rapidissimamente secondo la natura del primo elemento da cui provengono… può avvenire che circostanze pochissimo notevoli le determinano qualche volta a girare qua e là nel corpo dove sono, senza scostarsene e qualche volta invece a passare in brevissimo tempo in luoghi lontanissimi senza che nessun corpo che incontrano nel loro cammino possa fermarle o sviarle e che incontrando una materia disposta a ricevere la loro azione esse vi producevano degli effetti assolutamente rari e meravigliosi, come quelli di far sanguinare le piaghe del morto quando l’assassino vi si avvicina.

Forse il grande filosofo si riferiva ad una sorta di “telepatia” estendendo il concetto di “sintonia” tra esseri viventi anche all’infinito universo di quelli che non lo sono più…

D’altra parte, “Poiché la vita della carne è nel sangue” (Levitico 17:11) e anche “Perché la vita d’ogni carne è il sangue; nel sangue suo sta la vita…” (Levitico 17:14) anche Giacomo Stuart, poi re d’Inghilterra, nel suo “Demonologia”, pubblicato nel 1597, nei capitoli dedicati alle “Umbrae mortuorum”, affermò senza esitazione alcuna…

Come in un assassinio se si pone la mano del criminale sul cadavere dell’assassinato, questo ricomincia a sanguinare, quasi che il sangue gridasse vendetta contro il colpevole perché Dio ha stabilito questo segno segreto soprannaturale per denunziare il delitto….

Ristampa anastatica (del 1997) della prima edizione del testo di Giacomo I Stuart dedicato anche al “Giudizio della bara”. Per chi volesse approfondire queste “tenebrose” tematiche

Diocesi di Chalons-sur-Marne. Anno del Signore 1180

Qui l’abate di Trois-Fontanes viene assassinato da un monaco mentre è in corso la visita dell’abate Piero le Borgne, abate di Chiaravalle.

Ed è proprio quest’ultimo – novello Guglielmo da Baskerville, che tanta fortuna ha portato ad Umberto Eco con il suo “Il nome della rosa” – che comincia a sospettare del monaco perché il cadavere dell’abate sanguina copiosamente ogni volta che il monaco stesso gli passa davanti. Il probabile assassino viene interrogato e l’effluvio sanguinis, unitamente ad altre circostanze a lui sfavorevoli, ne decretano la condanna per omicidio.

Quasi un secolo più tardi, nel 1270, Tommaso di Cantimprè (1201 – 1272) scrive il trattato “Bonum universale de apibus” ove delinea un’ideale vita cristiana sotto l’immagine della vita delle api. In esso racconta anche di un monaco il cui corpo, in chiesa, durante le esequie, inizia a sanguinate di fronte ai suoi persecutori.

Infine, rechiamoci in Inghilterra un secolo dopo.

Un lontano 25 agosto del 1282. Tommaso da Cantalupo, vescovo di Hereford, di ritorno in Inghilterra dopo avere attraversato la penisola italiana, muore improvvisamente.

Scomunicato dall’arcivescovo di Canterbury, John Peckham, Tommaso, infatti, ha abbandonato l’Inghilterra, è ricorso al papa Martino IV, il quale, a Orvieto, lo riceve con simpatia, ma dal punto di vista giuridico il suo caso appare complesso e di dubbia difficile soluzione.

Non più giovane, stanco del lungo viaggio e delle in giuste accuse rivoltegli, affranto dal caldo dell’estate, il vescovo di Hereford non fa a tempo a conoscere l’esito del suo ricorso e muore a Montefiascone, sul lago di Bolsena. Pochi giorni più tardi avvengono le esequie, il suo cuore viene donato a Edmondo di Cornovaglia e poi sepolto ad Ashridge. Altre parti del suo corpo vengono sepolte nel monastero di San Severo mentre le sue ossa proseguono il viaggio verso  Canterbury.

Canterbury, territorio dominato da quel John Peckham che lo ha condannato.

E qui, durante l’attraversamento di queste contrade, le ossa del povero Tommaso iniziano a sanguinare, prova, questa, da tutti ritenuta indiscutibile accusa di omicidio da parte del poco caritatevole arcivescovo. Passa un solo anno e il francescano Roger Marston, discepolo dell’arcivescovo, costretto a dissertare sulla possibilità che il cadavere di un uomo possa sanguinare quando è posto davanti a quello che potrebbe essere il suo assassino.

Diserta oggi, disserta domani, alla fine ci si convince che nessuna altra causa, al di là della colpevolezza dell’arcivescovo, avrebbe potuto produrre quell’effetto straordinario, dell’effusio sanguinis.

Stampa del 1497 in cui appare in tutta la sua evidenza l’effusio sanguinis. Più visibile nel particolare riportato a destra.

Fenomeno questo che, reale o appartenente alle leggende agiografiche, fu citato come testimonianza a favore durante il processo di canonizzazione di Tommaso da Cantalupo, iniziato nel 1307 con papa Clemente V e concluso nel 1320 con papa Giovanni XXII.

Qui giace John Peckham, arcivescovo di Canterbury, accusato della morte di Tomamso da Cantalupo. La “prova” della sua colpevolezza fu fornita dal sanguinamento delle ossa del vescovo di Hereford mentre si attraversavano i territori in cui il vescovo esercitava la sua opera pastorale.

Vis sanguinis ultra mortem : le spiegazioni  “scientifiche”

Una delle pseudospiegazioni – leggende metropolitane ante litteram a  parte – era quella che le vesti o proprio l’arma del delitto conservassero pur minime tracce del sangue dell’assassino. Sangue dovuto, magari, alla colluttazione avvenuta durante l’omicidio.

Quando l’omicida si avvicinava al defunto, le “tracce”, le ”particele della materia sottile” di cui parlava Descartes, entravano in sintonia con il corpo della vittima che cominciava a manifestare le sue accuse… sanguinando.

Un’altra ipotesi era che durante l’omicidio, dagli occhi dell’assassino – per definizione “iniettati di sangue” – venivano emessi degli “spiriti vitali” che colpivano la vittima e rimanevano imprigionati nel cadavere.

La teoria di tali “spiriti” è presente anche nelle opere dell’Alighieri, opere in cui si avverte l’influsso delle teorie sulla fisiologia umana elaborate da Alberto Magno in  base alla fisica aristotelica, teorie secondo le quali il corpo umano sarebbe percorso da queste “funzioni dell’anima”, invisibili e preposte al funzionamento delle diverse parti del corpo umano.

Dante nella “Vita nova” – forse presagendo l’esistenza dei ben più prosaici… ormoni – descrive la reazione degli “spiriti vitali”  provocata dalla presenza della donna amata…

Anche il “mago” Cecco d’Ascoli non rimase insensibile al fascino del sanguinamento di un  cadavere se nell’Acerba ebbe a scrivere…

                              … Perché le plaghe dell’occulto occiso

                                     manda ciascuna lo sangue di fòre,

                                   guardando chi l’à morto nel suo viso?

                                    Se con le plaghe nòve, ciò te dico,

                                        ché spiriti rimangono nel core,

                                quando move l’ira verso ‘l suo nimico.

                                    Ciascuno se move al dolente loco,

                                   e move el sangue per le calde vene:

                                        ma questa novitate dura pocho.

                                    Ma l’acqua calda per le plaghe messa

                                         resolve quili spirti che contane

                                     el core intento, sì che ciascuna cessa.

 Tornando però al “Giudizio del cadavere”, quando il legittimo proprietario degli “spiriti vitali” – l’omicida – si avvicinava al corpo del defunto, essi si rimettevano in movimento causando fuoruscita di sangue dalle ferite del defunto.

Non si creda però che l’idea che un cadavere possa sanguinare solo davanti all’assassino sia retaggio dei “secoli bui”, di un remoto passato o di un Medioevo in cui tutto il “meraviglioso” appare possibile.

Il teologo francese Noel Taillepied (1540 – 1589) scrisse un testo dal chilometrico titolo “Traicté de l’Apparition des Esprits. A sçavoir, des Ames séparées, Fantosmes, Prodiges et autres accidens merveilleux, qui précèdent quelquefois la mort des grands personnages ou signifient changement de la chose publique”, pubblicato a  Parigi nel 1616 – quindi oltre il periodo rinascimentale e quasi alle soglie dell’Illuminismo – in cui egli afferma, senza tema di smentita, che se un assassino si avvicina al corpo di una sua vittima, questa inizia a trasudare sangue.

Per non essere da meno, la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Marburgo non esita a considera il sanguinamento del cadavere come decisiva prova di colpevolezza dell’uomo che vi è stato posto di fronte. Prova accettata, verso la fine del Settecento, anche in Bretagna.

L’Età dei “Lumi” è già iniziata…

Uxoricidio, in famiglia, “fai da te”

Qualche anno più tardi, nel 1629 sarebbe accaduto un fatto degno di un horror movie di qualche decennio fa.

Arthur e Joan Norkot non conducono quella che si può definire una piacevole esistenza. Qualche probabile infedeltà della donna sommata al dovere vivere in promiscuità,  in sole due misere stanze insieme al figlio, alla suocera di Joan e ai cognati causa spesso  liti durante le quali vola anche qualche minaccia che non lascia presagire nulla di buono.

E il “nulla di buono” si concretizza quando una mattina Joan viene trovata nel suo letto, con la gola tagliata, accanto al suo figliuolo fortunatamente illeso.

L’arma del delitto – un grosso coltello da cucina – è sul pavimento.

Interrogato Arthur afferma di non aver trascorso in  casa quella notte perché è andato a trovare dei parenti che abitano nella cittadina di Tewkesbury.

Suocera, sorella e cognato di Arthur riferiscono al giudice che sarebbe stato materialmente impossibile che l’assassino possa essere giunto nella camera da letto dei due coniugi senza svegliare tutto il resto della famiglia data l’angustia dell’abitazione e la conseguente difficoltà di muoversi in pochi metri quadrati senza far rumore. Gli inquirenti – i RIS dell’epoca! – notano che sulla scena del crimine il coltello, l’arma del delitto, si trova abbastanza lontano dal letto e, soprattutto, mostra il manico rivolto verso la porta, non verso il giaciglio dove dormiva la povera Joan.

Pur ammettendo come ipotesi di lavoro che la poverina, distrutta da una vita coniugale d’inferno, abbia deciso di porre fine alla sua misera esistenza, come spiegare che il coltello si trovava non sul letto, non nelle mani di Joan, ma distante e perlopiù in una posizione che fa presupporre di essere lì caduto o posto volontariamente da qualcuno, ma non dalla vittima che dopo il tremendo taglio alla gola difficilmente avrebbe avuto la forza di lanciarlo distante da sé.

Però prevale la tesi del suicidio e Joan viene sepolta in terra sconsacrata…

Chi l’ha visto?” e “Quarto grado” erano ancora molto di là da venire, ma qualcuno si insospettisce e fa riesumare il cadavere. Un  esame accurato mette in evidenza che Joan ha l’osso del collo spezzato, cosa questa difficile da farsi nel caso qualcuno decida di mettere fine, in quelle circostanze, ai propri giorni!

Inoltre, qualcuno si ricorda che sul pavimento c’era una gran quantità di sangue, molta di più di quanto non ce ne fosse sul letto e sul corpo del cadavere.

Arthur, messo sotto precisione, comincia a farfugliare un po’, a contraddirsi e crolla soprattutto quando i parenti dai quali egli si sarebbe recato in visita ammettono di non vederlo da alcuni anni!

Si sa, anche in quegli anni la giustizia non è uguale per tutti e la giuria assolve un tutta la combriccola tutti  insufficienza di prove…

Ma uno degli inquirenti, il giudice Harvey – alquanto contrariato dalla facilità con cui Arthur se l’è cavata – ricorre “in appello”.

Ora, senza dover ricorrere al Trascendente, all’intervento divino o agli abitanti dell’Oltretomba, tutta una serie di indizi avrebbe portato a concludere che Joan è stata assassinata non sul suo letto, ma lì vicino, sul pavimento.

Il collo appare spezzato, inconsueta procedura per suicidarsi con le proprie mani per poi tagliarsi la gola! Inoltre, i frequenti litigi dei due coniugi avevano portato – affermano i parenti ormai disposti a confessare tutto e anche di più – a ricordare che la sera dell’uxoricidio Arthur ha preso la moglie per la gola, facendola cadere e procurandole serissime lesioni al capo e al collo.

Un’affrettata riunione di famiglia suggerisce al marito di tagliare – post mortem! – la gola alla consorte, cercando così di simulare il suicidio…

Quei maldestri dilettanti allo sbaraglio, non pensano però ai particolari ed eseguono il macabro rito sul pavimento, non sul letto. Completano l’operazione adagiando il corpo della vittima accanto al figlioletto che non ha percepito nulla e continua a soggiornare nel regno di Morfeo, a dormire tranquillamente.

Da provati inesperti, gettano per terra il coltello, non badando al fatto che è troppo distante dal letto e che un suicida, raggiunto il suo scopo, a tutto pensa fuorché a disfarsi dell’arma con cui ha voluto compiere il suo ultimo viaggio…

Potenza delle Fede!

Quando la Scienza perde colpi, spesso subentra la Fede…

Un sacerdote della locale parrocchia si ricorda di aver letto da qualche parte che un cadavere è in grado di sanguinare se posto davanti all’assassino. Harvey si mostra inizialmente scettico ma… a mali estremi, estremi (ed irrazionali) rimedi e inizia a prendere in considerazione tale procedura.

D’altra parte, se male non ricordiamo, qualche decennio fa, per ritrovare l’onorevole Aldo Moro sequestrato dalle Brigate Rosse, non si ricorse “ufficialmente” anche ad una seduta spiritica? E allora, cosa cambia?

… mano a mano che venivano chiamati, i sospettati dovevano toccare la fronte del cadavere, che era ormai diventata viola e scura come carne in putrefazione – riferisce diligentemente il sacerdote, ricordando al giudice qualche suo ricordo, ben soddisfatto di poter contribuire con la Fede alle carenze della Scienza – poi, ad un tratto però, la fronte aveva incominciato a trasudare, tanto da concretizzarsi in lacrime scendendo sul viso; nel frattempo la fronte cambiava colore, tornando ad essere rosea, come quando la donna era viva. Poi il cadavere aveva spalancato un occhio per richiuderlo subito dopo, e questo apri e chiudi si era ripetuto parecchie volte. Poi si era sfilato la vera matrimoniale tre volte e tre volte se l’era rimessa, tanto che l’anulare si era messo a sanguinare e alcune gocce erano cadute sull’erba…

Scene da film del terrore della serie “L’alba dei morti viventi” & Co.!

ius sanguinis
Chissà, forse è questa la scena che sarebbe apparsa agli occhi dell’esterrefatto giudice Harvey. Naturalmente mettendo un po’ da parte l’approccio scientifico e prendendo per oro colato ogni testimonianza dell’epoca!

Il giudice nonostante la testimonianza del sant’uomo vede riemergere la sua formazione culturale laica e appare titubante. Forse anche per la paura di esporsi al ridicolo…

L’uomo di chiesa incalza e aggiunge anche la testimonianza – attendibilissima, naturalmente! – del fratello, sacerdote, che avrebbe assistito all’incredibile fenomeno.

Il giudice cede e così, così, dopo un mese dalla sepoltura della povera Joan, il suo corpo viene riesumato.

Non per analisi del DNA che doveva ancora attendere un bel po’ per essere scoperto, non per qualche ulteriore controllo autoptico sui poveri resti, niente di tutto questo.

L’esumazione verte soltanto a metter in atto il “Giudizio della bara”. Essa, infatti, è scoperchiata e viene posta su un cavalletto e ogni familiare della vittima – con comprensibile e sommo disgusto – viene invitato a porre una mano su quel corpo ormai abbastanza putrefatto.

Qualcuno tocca e poi invoca l’Onnipotente affinché lo aiuti a dimostrare la propria innocenza, qualcuno esita…

Poi, per la paura di venire accusato proprio per tale giustificata reticenza, tocca ciò che resta della sfortunata Joan. E la defunta inizia a sanguinare con il suo cruento, terrificante “J’accuse!”…

Scene da film del terrore della serie “L’alba dei morti viventi” & Co.!

Tutto ciò, l’uxoricidio, gli strani rituali davanti al cadavere, gli incredibili fenomeni di “effusio sanguinis” viene alla luce nel 1690 quando tra le carte del defunto giudice Sir Johan Mainard salta fuori un documento in cui si descrive l’intera serie di eventi.

Passano molti anni e poi, quasi alla fine dell’Ottocento, tale avvocato Hunt pubblica un articolo – “Un singolare caso di superstizione” –.sulla rivista “The Gentleman’s”, trincerandosi dietro un titolo che, male che vada, lo salverebbe dal ridicolo!

Il libro del 1929 in cui il reverendo Montagne Summers descrive anche lo strano episodio del cadavere che avrebbe testimoniato contro l’assassino mediante l’effusio sanguinis.

Per chi volesse approfondire l’argomento, tutto ciò che Sir Mainard scrive viene poi ripubblicato, alla fine degli anni Venti del secolo da poco trascorso, nel libro “Vampire in Europe”, del reverendo Montagne Summers, purtroppo reperibile solo in lingua inglese.

Il “Giudizio della bara” in terra d’Africa

Non si creda che solo nella “civilizzata” Europa si cercava di compensare, ricorrendo all’intervento dell’Aldilà, le carenze delle istituzioni preposte ad amministrare la giustizia. Come ora vedremo, su un vecchio numero della rivista Occult Rewiew, un certo Oje Kulekum descrisse una cerimonia molto simile al “Giudizio della bara”, allo “Ius feretri” che fin qui abbiamo esaminato.

Gli sciamani di un villaggio dell’Africa centrale – Kulekum non è molto preciso al riguardo – appartenevano ad una sorta di casta che godeva di molti privilegi poiché sarebbero stati i soli a risolvere casi di omicidio in cui l’assassino sembrava veramente perdersi di nome e di fatto nel buio della foresta.

Un numero del marzo 1922, rivista sulla quale apparve un articolo relativo ad un rito simile al “Giudizio della bara” ma svoltosi nell’Africa Nera.

La vittima di un omicidio, prima di essere inumata doveva sottostare ad una strana cerimonia che era finalizzata ad identificare l’assassino.  Rinchiusi in una capanna insieme al cadavere, gli sciamani celebravano dei riti dei quali non è pervenuta traccia, ma dopo circa mezz’ora uscivano e chiedevano ai parenti del defunto qualche abito che al defunto stesso, ormai… non sarebbe più servito.

Poi si recavano nel buio della foresta e addobbavano una sorta di manichino con tali abiti, adagiandolo su una sorta di barella con cui lo riportavano al villaggio, adagiandolo al centro della “piazza” principale, tra le varie capanne.

Un corno rituale chiamava allora tutti gli abitanti davanti al simulacro della vittima mentre lo sciamano più anziano – il… “primario” insomma! – sceglieva tra i più giovani due ragazzi ancora impuberi sul cui capo veniva adagiata la barella.

Una serie di invocazioni dell’equipe “magica” chiedeva allora al pantheon delle divinità locali di trasferire l’anima del defunto nel simulacro in modo che questi potesse indicare – attraverso i movimenti  del manichino – chi l’aveva assassinato.

Il capo degli sciamani poneva quindi delle domande alle quali il defunto avrebbe risposto opportunamente con tre movimenti “codificati” in avanti e indietro solo nel caso in cui la persona sospettata fosse stata veramente responsabile dell’omicidio. Diversamente, i movimenti sarebbero stati da destra a sinistra e viceversa.

Se vogliamo una via di mezzo tra la tavoletta “Oui-Ja” di spiritistica memoria e una Radiestesia all’ombra del Kilimangiaro!

Quando davanti al simulacro del morto passava il vero colpevole, forse ad un cenno degli sciamani, i due “medium”, i due adolescenti si precipitavano verso di lui spingendolo da parte e, così facendo, lo condannavano inesorabilmente ad una pena che non osiamo neppure immaginare…

“Chiaroveggenza”? Frode motivata da antipatie personali? Tutta una tragica messinscena con cui gli sciamani tenevano alto il loro prestigio e i loro privilegi?

Non lo sappiamo, ma da quelle parti doveva essere molto pericoloso avere dei nemici tra i gli antipatici vicini di… capanna!

 

Uno sciamanodell’Africa Nera. Qualche decennio fa avrebbe potuto presiedere la “Corte suprema” nel “Giudizio della barella”!

Radiestesia… dell’Aldilà!

“ An Historical Relation of the Island Ceylon together With somewhat Concerning Severall Remarkable passages of my life that hath hapned since my Deliverance out of Captivity”  è il lunghissimo titolo – degno della regista Lina Wermüller! – di un libro in cui il viaggiatore di fine Seicento Robert Knox descrive un altro strano rituale, una sorta di Ordalia riservata a curiosi oggetti, destinata anch’essa ad identificare l’autore di un omicidio.

Una rara edizione, del 1681, del libro di Knox su usi e costumi dell’isola di Ceylon, oggi Sri Lanka.

In questo caso più che l’assassino si cercava l’autore di qualche furto perpetrato ai danni degli abitanti dell’isola di Ceylon, ma vale la pena ugualmente di affacciarci per un breve istante su quello scomparso angolo di mondo per constatare come un ipotetico Trascendente – qualunque cosa possa intendersi con tale termine – subentri spesso nelle umane vicende, nei fatti di tutti i giorni.

Su un corto bastone veniva appoggiata – in equilibrio molto instabile – una noce di cocco in cui era stato praticato un ampio foro.

In queste condizioni, ogni minimo movimento delle mani dello sciamano provocava altrettanti movimenti del frutto. Come una sorta di pendolino radiestesico…

 

Una noce di cocco in cui venga praticato un taglio, oppure una piccola cavità, e nella quale veniva infilato un bastone, posta nelle mani di un furbo sciamano dell’isola di Ceylon, si trasformava in un infallibile “giudice”, oggetto da Ordalia della “Lacrima dell’India”, l’antica Ceylon, oggi Sri Lanka.

Lo sciamano, infatti, portava il bastone davanti alle persone sospettate mentre la noce di cocco oscillava in un senso o nell’altro. Quando lo stregone del villaggio – il “medium”, se vogliamo – passava davanti al vero colpevole, allora la noce di cocco cessava di muoversi, indicando così l’autore del furto.

Non sono stato io!” gridava in singalese lo sventurato?

Niente paura! Anche da quelle parti era molto in voga l’Ordalia dell’acqua bollente.

E in questo caso la confessione – genuina o meno, poco importava… – era assicurata!

Nel lontano Tibet – come riferisce l’esploratore russo Tcherepanov su un giornale pubblicato a San Pietroburgo nel 1854, “L’Abeille du Nord” – avveniva qualcosa di simile…

Il lama, per esempio, sa ritrovare le cose rubate seguendo una tavola che si muove davanti a lui. Il proprietario dell’oggetto chiede al Lama di indicargli il luogo in cui è nascosto. Il Lama non manca mai di fare aspettare la risposta per qualche giorno. Il giorno in cui è pronto a rispondere, si siede per terra davanti ad un tavolino quadrato e vi pone le mani leggendo un libro tibetano: dopo una mezz’ora si alza, levando anche le mani in maniera che conservino la posizione che avevano sul mobile. Immediatamente questo si alza a sua volta, seguendo la direzione della mano. Infine, il Lama è in piedi sulle sue gambe, alza la mano al di sopra della sua testa e la tavola si solleva all’altezza dei suoi occhi. Allora il Lama fa un movimento e la tavola lo segue,,, il Lama cammina e la tavola cammina davanti a lui aumentando sempre di velocità, tanto che il Lama ha difficoltà a seguirla. Infine la tavola percorre diverse direzioni e finisce per cadere per terra. La direzione principale seguita da essa indica il lato in cui bisogna cercare l’oggetto perduto

 

Corre voce che i monaci tibetani conoscano varie tecniche in cui l’ESP, le ancora poco conosciute facoltà umane, siano particolarmente sviluppate, come testimonierebbero infiniti racconti su quelle lontane contrade…

 

Passiamo ad un altro quasi più “divertente” argomento…

 

Un serpente… “spione”!

Non si può mai stare tranquilli! Non ci si può più fidare neppure dei serpenti!

Noti, d’altra parte, per avere la “lingua biforcuta”…

Tal padre Bernardino di Sahagùn (1499 – 1590), francescano spagnolo, descrive infatti  un curioso metodo in voga presso i popoli messicani…

Lo stregone o incantatore di serpenti veniva consultato nei casi di furto. Il querelante riuniva i vicini dai quali sospettava di essere stato derubato, e lo stregone li faceva sedere tutti per terra in circolo. Poi lo stregone levava il coperchio di un vaso e incantava un serpente che vi era contenuto. Il serpente ne usciva strisciando, squadrando tutte le persone sedute per terra. Quando riconosceva la persona che aveva rubato strisciava verso di esso e vi si stendeva. Allora gli altri afferravano il colpevole e l’obbligavano a confessare la sua colpa. Se il serpente non vedeva nessun colpevole, ritornava verso il vaso, vi entrava e si arrotolava tranquillamente…”.

 

A sinistra, il frate spagnolo Bernardino di Sahagùn il quale descrisse uno strano rito in cui un serpente fungeva da “giudice” durante un’Ordalia che si svolgeva nell’antico Messico. A destra, uno sciamano maya, il quale nel XVI secolo avrebbe potuto interpretare i movimenti di un serpente, assolvendo o – più spesso – condannando qualche malcapitato accusato di furto.

 

La… ”Corte d’Assise’ di un qualsiasi villaggio maya dove, secondo il missionario spagnolo Bernardino di Sahagùn, si svolgeva l’Ordalia del serpente.
Signori della Corte…”.
No, forse stiamo esagerando, ma nell’Ordalia del serpente descritta da Bernardino di Sahagùn questo bell’esemplare di rettile avrebbe avuto sul serio il potere di decidere sulla vita e sulla morte di uno sfortunato “ladro di polli”!

Al termine del “processo” il colpevole – poco importava se lo fosse davvero! – era obbligato a confessare e a subire una pena adeguata.

Di solito ben poco caritatevole!

Forse il “giudice”, lo sciamano,  aveva precedentemente ammaestrato il “prezzolato” serpente affinché, ad un suo impercettibile gesto, si rivolgesse verso il “colpevole”?

D’altra parte, simili comportamenti sono abbastanza usuali nei circhi dove vengono allevati animali “sapienti”, come i famosissimi “cavalli di Elberfeld”  ai quali, nel 1890, il maestro di scuola Wilhelm von Osten  avrebbe insegnato a compiere semplici operazioni aritmetiche seguendo, però, suoi quasi inavvertibili “suggerimenti”!

Wilhelm von Osten , con il suo “sapiente” cavallo Hans. In realtà sembra che il pur intelligente quadrupede rispondesse, con diversi colpi sul selciato, ai quesiti aritmetici percependo le indicazioni quasi “subliminali” del maestro.

Il libro – di imminente uscita per i tipi della Eremon Edizioni, con eccezionale documentazione fotografica – in cui vengono trattati moltissimi argomenti sull’universo dei killers, seriali o meno…

 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here