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Murder Ballads: Nick Cave e gli omicidi folk

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Murder Ballads

Murder Ballads: questo il titolo dell’album rilasciato nel 1996 dal controverso Nick Cave. Le ballate omicida faranno del loro autore uno dei più insigni portavoce dell’Amor Mortis in musica.

Murder Ballads: un vero e proprio genere

Con la formula Murder Ballad si intende un sottogenere di ballata, spesso in uso nel folk americano, che narra e descrive omicidi reali o immaginari, con particolare accento alla realizzazione del delitto, alla psicologia del carnefice e della vittima coinvolta.

Si sono cimentati nel genere i più grandi artisti statunitensi – basti pensare a Johnny Cash – e molti cantautori europei o asiatici. D’altro canto, la vivisezione di una scena omicida in musica ha radici secolari. Basta sfogliare un florilegio di ballate medievali. O prestare attenzione ad alcuni passaggi dell’epos antico per annusare quanta carne al fuoco dell’arte è capace di mettere la morte.

Murder Ballads di Nick Cave & The Bad Seed

Murder Ballads

Cosa differenzia Nick Cave dai suoi macabri colleghi? In primo luogo, la componente scenografica. Ognuna della Murder Ballads ha la potenza di un corto cinematografico. Prendiamo, ad esempio, la opening track, Song of Joy. In questo pezzo, ascoltiamo un uomo che chiede ospitalità presso una baita solitaria. Passo dopo passo, il protagonista racconta la tragica morte di sua moglie e delle sue figlie a opera di un misterioso assassino.

Joy era stata legata col filo elettrico
Un bavaglio in bocca
Era stata accoltellata più volte
E infilata dentro un sacco a pelo
Nei loro lettini le mie bambine erano state derubate delle loro vite

La particolarità non risiede tanto nella storia, ma in come è raccontata. La voce ubriaca di Nick Cave, la cadenza delle parole, stentata, a pezzi, di colpo aggressiva, ghiaccia il sangue. In un primo tempo commosso, l’ascoltatore aggrotterà pian piano le sopracciglia. Stiamo sentendo la storia di un povero vedovo? O forse il resoconto dello stesso omicida?

Stragger Lee o Henry Lee?

Già dal secondo brano il progetto creativo di Nick Cave si fa più polposo. Stragger Lee, seconda traccia delle Murder Ballads, tenta di amalgamare il folk tipico del genere con qualche elemento industrial e d’avanguardia. Il sound si rafforza. Diventa aggressivo, brutale e vagabondo, come la storia di Lee Sheldon. L’uomo, abbandonato dalla propria amante, si reca in un bar dove compie un plurimo omicidio, senza chiare ragioni.

Il risentimento di Stragger Lee si inasprisce. La musica accetta il cambiamento e scoppietta di paroloni volgari, prepotenti, in perfetta linea con la trama narrativa. Un grido improvviso, uno scream elettrico, un vero colpo di pistola: questo è il colpo di scena, il cliffhanger in versione musicale. E “oh yeah” – anche questo microfilm è concluso.

Disse che era solo per un bacio
E con il coltellino che teneva in mano
Lo trapassò più e più volte.

Questa volta, a impugnare l’arma del delitto è una donna. Rifiutata e tradita dal suo innamorato, si propone di ucciderlo e lo fa in un contesto bucolico, quantomai dolce. Henry Lee, questa la canzone, che gode della collaborazione di PJ Harvey – artista britannica che sembra quasi una modella preraffaelita in versione Pulp Fiction.

Where The Wild Roses Grow: la storia di Eliza Day

Veniamo al pezzo più famoso delle Murder Ballads: Where The Wild Roses Grow. La storia di Eliza Day, uccisa nel fiore dell’innocenza, è stata oggetto di tante cover quante ne può contare My Baby Shot Me Down. A violino, in veste gregoriana o metal a opera dei Kamelot, questo brano non smette di affascinare.

L’ultimo giorno la portai dove crescono le rose selvatiche
E lei si distese sulla riva, il vento leggero soffiava come un ladro
Mentre le davo un bacio d’addio, le dissi
“Tutta la bellezza deve morire”
E mi chinai e le piantai una rosa tra i denti

Il successo è dovuto, in parte, alla scelta di un distico tematico da sempre fortunato: Amore e Morte. Eros e Thanatos vengono declinati con una gentilezza sconcertante, alla luce del testo, che alterna momenti di innocenza a dettagli scandalosi. Eliza Day, chiamata da tutti “Rosa Selvaggia“, paga il suo primo amore con il sangue. Questo succede in una cornice che riassume la filosofia delle Murder Ballads: Tutta la Bellezza deve morire. Una frase del genere, pronunciata con tanto calore sensuale, non può che aprire riflessioni nella mente di chi ascolta.

Where The Wild Roses Grow gode della collaborazione di Kylie Minogue che dona voce alla povera Eliza Day, nei panni di una novella Ofelia.

La Maledizione di Millhaven

The Curse of Millhaven, la sesta traccia delle Murder Ballads, merita un posto di rilievo sia per la storia di ampio respiro, che per l’originalità. Si tratta forse della canzone più cruenta dell’intero album, interessando le vicende di una cittadella costellata di disgrazie che non risparmiano neppure i bambini.

Avrete sentito parlare della maledizione di Millhaven
Di come lo scorso natale il figlio di Billy Blake non tornò a casa
Lo trovarono una settimana dopo a
La testa spaccata e le tasche piene di pietre
Well, just imagine all the wailing and moaning Bene, immaginatevi solo i lamenti e i pianti
La La La, La La Li
Anche il piccolo Billy Blake, anche lui doveva morire

A Millheaven accade tutto ciò che può essere temuto negli incubi. Una testa mozzata nella fontana del sindaco, un cane inchiodato a una porta, una strage di scolaretti. A seminare cotanta distruzione è una “cattiva signorina” di quindici anni – la voce narrante della storia. La ragazza è pazza, pensano i concittadini. Non può essere lei! esclama qualcuno. La bionda Loretta omicida intanto ripete il suo allegro ritornello: “Mamma mi diceva che tutti dobbiamo morire!

 La Morte è davvero la fine?

Chiude il disco Death Is Not The End, ballata malinconica e dal titolo inaspettato nel contesto delle Murder Ballads.

Quando tutti i tuoi sogni svaniscono
e non sai cosa c’è in cima alla salita
ricordati solo che la morte non è la fine.

Senza dubbio, dopo aver ascoltato le novità perturbanti delle ballate, questo pezzo sembrerà il più banale. In effetti, non aggiunge e non toglie niente al panorama folk americano. Interessante, però, la sua posizione nella tracklist. Gli omicidi e le brutture, che si sono ascoltati fino a quel momento, vengono esorcizzati. Nick Cave educa, in un certo senso, gli ascoltatori a comprendere meglio l’azione del male intorno a loro.

Abbiamo visto che “Tutta la Bellezza deve morire“. Come da titolo, però, la morte non è la fine. Quello che si perde, anche la vita, o la speranza, lascia dietro qualche potentissima briciola. Queste briciole, in un’approssimativa interpretazione delle Murder Ballads, lasciano, se non la felicità, quantomeno l’arte, che è l’unica arma sia contro la morte fisica, che quella sentimentale.

Traduzioni: QUI 

Silvia Tortiglione

 

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