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The Human Centipede – la trilogia che ha riscritto l’horror

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Amata e detestata, osannata e criticata, adorata alla follia e ripudiata altrettanto alla follia. Può una trilogia horror dividere in modo così netto e tagliente l’opinione del pubblico appassionato, dalla critica cinematografica al semplice spettatore? Sì, può. Ma solo se la trilogia in questione si chiama “The Human Centipede”.

Andremo a parlare, infatti, di una saga horror che ha letteralmente riscritto il genere in questione.

(Attenzione: spoiler)

Siamo abituati, troppo spesso, a saghe horror – ma più in generale, cinematografiche – inutilmente lunghe, ripetitive, in cui la medesima storia, nelle linee generali, viene riproposta ossessivamente, quasi sempre in maniera peggiorativa. A lungo andare, inevitabilmente, l’essenza originaria viene snaturata. Saghe interminabili, stancanti, ridondanti, nelle quali il cambiamento dei personaggi e la modificazione di qualche intreccio – all’interno, però, del medesimo canovaccio – non producono effetti migliorativi né aggiungono contenuti.

Con “The Human Centipede”, tuttavia, questo consueto modo di concepire e realizzare una saga cinematografica viene inesorabilmente abbattuto, scompaginato, stravolto da un inedito tocco di genialità. Tre capitoli, tre film in cui il medesimo canovaccio viene reinterpretato, scomposto e ricomposto con sublime maestria e rara intelligenza artistica.

The Human Centipede (First Sequence)”, “The Human Centipede 2 (Full Sequence)” e “The Human Centipede 3 (Final Sequence)” costituiscono i tre capitoli di questa entusiasmante saga horror, i cui ingredienti principali sono originalità e turbamento psicofisico.

The Human Centipede, una trama… controversa  

Chi c’è dietro alla trilogia di “The Human Centipede”? Artefice di questa saga è Tom Six. Nato ad Alkmaar (Olanda) il 29 agosto 1973, Tom Six si erge, grazie ai tre film al centro del nostro articolo, ad assoluto protagonista della scena horror internazionale. Eccentrico, particolare, innovatore, politicamente scorretto come pochi altri: Tom Six è tutto questo e molto altro ancora. Regista, sceneggiatore, produttore: la mano e la mente di Tom Six disegnano intrecci personali, fortemente riconoscibili all’interno dei propri lavori. Assieme alla sorella, Ilona Six, fonda la Six Entertainment Company, società impegnata nella realizzazione e produzione dei film ideati dal bizzarro regista e sceneggiatore olandese. Numerose le fonti ispiratrici che hanno influenzato Tom Six nel concepimento della suddetta trilogia; su tutte, il voler riproporre e riattualizzare le barbarie naziste. Quegli esperimenti medici, disumani, tristemente passati alla storia.

La trilogia di “The Human Centipede” è, probabilmente, tra le più osteggiate e criticate della storia del cinema. La distribuzione nelle sale cinematografiche (e non solo) di tutto il mondo è stata aspramente osteggiata – e quindi, realizzatasi a macchia di leopardo – in virtù dei contenuti altamente scabrosi, traumatizzanti, violenti e cruenti. Tra divieti e feroci critiche (ma uno shock movie, per definizione, non può essere criticato per le sue scene particolarmente forti…), il mito di “The Human Centipede” si alimenta di giorno in giorno, complice – ironia della sorte – anche questo accanimento tanto ingiustificato quanto strumentale ed eccessivamente moralista.

I tre film sono incentrati su una trama a dir poco inedita, surreale e, per questo, positivamente sconvolgente: unire sadicamente persone tramite un bizzarro collegamento bocca-ano. Un intervento chirurgico estremo (per non dire vomitevole), perno di una trilogia che si snoda attorno a questo tanto semplice quanto stravagante espediente dell’orrore. Unire, tramite un posticcio collegamento bocca-ano, più uomini, più individui, realizzando, appunto, un centopiedi umano. Idea che solo menti perverse – cui Tom Six ha dato anima e corpo nei propri film – possono concepire. Una follia chirurgica a tinte trash, non v’è dubbio.

Primo capitolo della saga – “The Human Centipede (First Sequence)”, anno 2009

È il Dr. Josef Heiter, magistralmente interpretato dall’attore tedesco Dieter Laser, a praticare questo intervento ai danni di due ragazze – due turiste americane in vacanza in Germania, Jenny e Lindsay, interpretate rispettivamente da Ashlynn Yennie e Ashley Christina Williams – e di un ragazzo giapponese, Katsuro, anch’egli malcapitato turista ed interpretato da Akihiro Kitamura. La testa del centopiedi è costituita da Katsuro, al centro viene collocata Lindsay; il segmento finale è costituito da Jenny, le cui condizioni di salute saranno gravemente compromesse da una setticemia. Katsuro parla solo giapponese: un ulteriore, interessante espediente a porre un freddo distacco tra il Dr. Heiter e la “creatura umanoide”. Tra i due non esiste alcuna comunicazione.

Secondo capitolo –  “The Human Centipede 2 (Full Sequence)”, anno 2011

Pellicola girata in bianco e nero – protagonista della vicenda è Martin Lomax (interpretato da un superlativo Laurence Robert Harvey, attore inglese), sorvegliante in un parcheggio sotterraneo di Londra, psicopatico, vittima di abusi sessuali da parte del padre e ancora al centro di perverse fantasie sessuali da parte del Dr. Sebring (interpretato da Bill Hutchens), il suo psichiatra. È Martin, infatti, a voler creare un centopiedi umano, radunando dodici persone.

Terzo ed ultimo atto della saga – “The Human Centipede 3 (Final Sequence)”, anno 2015

È William “Bill” Boss (interpretato da Dieter Laser), arcigno e perverso direttore di un carcere di massima sicurezza, coadiuvato e consigliato dal contabile Dwight Butler (interpretato da Laurence R. Harvey), a mettere in pratica l’idea del centopiedi umano allo scopo di punire i detenuti. Centopiedi, peraltro, affiancato da un ancor più curioso e “malato” bruco umano: detenuti condannati a morte, sempre uniti con collegamento bocca-ano, ai quali, però, vengono anche amputate braccia e gambe. Impossibilitati a muoversi: la tortura definitiva.

Tra i protagonisti del film, anche il Governatore Hughes (interpretato da Eric Roberts) – dapprima reticente e scettico di fronte alla barbara pratica del centopiedi umano, infine positivamente colpito dalla efficacia punitiva e rieducativa della tortura in questione –, Daisy (la avvenente segretaria di Boss, interpretata da Bree Olson, nome d’arte della pornostar al secolo Rachel Marie Oberlin) e Tom Six, nei panni di Tom Six. Spunto, quest’ultimo, che ci dà il la per il prossimo approfondimento di questa avvincente trilogia: l’interazione tra i tre diversi capitoli della saga.

“Tre film in uno” e poliedricità degli attori  

I tre capitoli della trilogia “The Human Centipede”, come abbiamo visto, poggiano la propria struttura narrativa sulla medesima tortura, benché reinterpretata e costantemente amplificata: dai tre individui del primo film si è passati, infatti, ai dodici del secondo film sino ad un autentico “serpentone” umano composto da centinaia di detenuti del terzo ed ultimo atto della trilogia. Cinquecento persone unite mediante collegamento bocca-ano.

Al di là della tortura in questione, a colpire lo spettatore è la continua, insolita, originale interazione tra i tre film, interazione che si sviluppa – prendendo in considerazione il finale alternativo del “Final Sequence” – in modo perfettamente circolare. Collegamenti ed intrecci che solo un artista completo, quale è effettivamente Tom Six, può concepire e rendere – pur con una dose non indifferente di surrealismo – coerenti.

Legami che qualificano l’intera trilogia come una sorta di “tre film in uno”. Ed è curioso, inoltre, il modo in cui questo legame viene concretizzato da Tom Six: di fatto, i primi due film della saga vengono presentati – all’interno della trilogia stessa – come film a tutti gli effetti. Nel secondo capitolo, il protagonista guarda il primo film, nel terzo ed ultimo capitolo, invece, i protagonisti guardano il secondo film. Solo il terzo atto della saga, pertanto, è proposto (nella versione originale cinematografica) come storia reale. Metafilm, metacinema. Analizziamo più nel dettaglio.

Questa interazione nasce nel secondo atto della saga, “The Human Centipede 2 (Full Sequence)”. Il già citato Martin Lomax, infatti, è un grande fan di “The Human Centipede (First Sequence)”, film che egli vede e rivede decine e decine di volte. La sua ossessione per questo film e per il centopiedi – animale che Martin possiede in casa – spingono l’uomo – rappresentato in modo volutamente viscido, sudicio, sporco, malato e taciturno (il personaggio non recita alcuna battuta), ad enfatizzare il disagio psichico e fisico (Martin è in sovrappeso ed asmatico) del personaggio – ad attuare il diabolico piano: emulare le gesta del Dr. Josef Heiter. Martin riesce a rapire persino una delle protagoniste del film, Ashlynn Yennie, attrice che lo psicopatico attira con la (finta) proposta di un casting per un film di Quentin Tarantino e che, infine, metterà a capo del centopiedi umano. La ragazza, dunque, interpreta se stessa.

Il film si conclude con un richiamo al primo capitolo della saga: Martin, infatti, è ancora intento a guardare “The Human Centipede (First Sequence)” nel gabbiotto del parcheggio sotterraneo.

In “The Human Centipede 3 (Final Sequence)”, l’interazione tra i diversi film completa il proprio sviluppo circolare, sino a raccordarsi – in modo sorprendente, surreale ma ugualmente coerente – ai primi due atti della saga.

Anzitutto, è interessante constatare la poliedricità degli attori. Ad interpretare Bill Boss, infatti, vi è ancora Dieter Laser, il famigerato Dr. Heiter del primo film. A vestire i panni di Dwight Butler è il versatile Laurence R. Harvey. I personaggi di Boss e Butler sono diametralmente opposti rispetto a quelli del Dr. Heiter e di Martin Lomax: tanto raffinato, asettico, pulito, colto, taciturno, calmo e paziente il Dr. Heiter, tanto volgare, trash, irascibile, sgarbato, sguaiato Bill Boss. Tanto sudicio, sporco, taciturno Martin Lomax, tanto ben vestito, ordinato, astuto e chiacchierone – ma ingenuo – Dwight Butler. Personaggi, evidentemente, tutti psicopatici e caratterizzati da marcate tinte di puro sadismo. Eppure, all’interno di uno stesso scenario di degrado, disumanità e perversione, Tom Six mostra tutta la propria abilità di sceneggiatore nel saper disegnare personaggi così differenti gli uni dagli altri. La perversione, dunque, può avere molteplici facce e sfumature.

L’intervento di Tom Six esalta questa interazione. Nel terzo ed ultimo capitolo della saga, infatti, Boss, Butler e Daisy stanno vedendo “The Human Centipede 2 (Full Sequence)”, film grazie al quale Butler trarrà spunto per avanzare la sua proposta “rieducativa” e punitiva nei confronti dei detenuti: trasformarli in un enorme centopiedi umano. A questo punto, al fine di convincere il restio Bill circa la efficacia del suggerimento di Butler, viene convocato Tom Six. Il regista e sceneggiatore olandese interpreta se stesso: egli, infatti, convincerà Bill circa la bontà e la fattibilità medica e chirurgica del collegamento bocca-ano. Non solo: i film di Tom Six vengono fatti vedere anche ai detenuti prima di comunicare loro l’intenzione di procedere ad un centopiedi umano a scopo punitivo-rieducativo. La rivolta dei carcerati – vana e sedata nel sangue – scoppia feroce.

Il film – prendendo in esame il finale alternativo contemplato nell’home video – si chiude con l’ennesimo colpo di scena: si scopre, infatti, che tutto è frutto della immaginazione del Dr. Heiter: tutto è solo un sogno. Un immondo sogno premonitore che anticipa il rapimento delle due turiste americane.

La vera scena finale e non alternativa del terzo film, tuttavia, non collega direttamente il terzo al primo film. Infatti, il “Final Sequence” si chiude con un Bill Boss, più che mai in estasi e in delirio di onnipotenza (un orgasmo quasi sessuale, potremmo affermare), che ammira – nudo, megafono in mano e in cima ad una torre di sorveglianza – la propria creatura: un enorme human centipede composto da cinquecento detenuti. Anche Daisy sarà “cucita” ed inserita nel centopiedi umano. L’apoteosi dello human centipede è, dunque, realizzata.

I registri

La trilogia di “The Human Centipede” è una fucina di idee e tocchi di creatività cinematografica. In questo senso, si rivelano ben congeniati anche i tre, diversi registri narrativi che caratterizzano le altrettanti parti della trilogia.

The Human Centipede (First Sequence)” incarna la scientificità e la precisione chirurgica di un intervento studiato a tavolino nei minimi dettagli. Tutto risulta e appare estremamente asettico: la figura razionale, austera ma al contempo autorevole e rinomata del benestante Dr. Heiter, la villa, la sala operatoria qui ricavata. Tutto è ordinato, pulito, ospedaliero. Un senso di ordine che non viene intaccato nemmeno dalla assoluta perversione dell’operazione e dallo svolgimento tutt’altro che incruento della vicenda.  Sensazioni asettiche affatto intaccate dalla drammatica condizione delle tre vittime, spaventate, terrorizzate, oggetto di una disumana macelleria chirurgica.

Il registro del primo capitolo viene totalmente annullato col secondo, “The Human Centipede 2 (Full Sequence)”. Ora, l’ambiente si fa malsano, sudicio, lercio, sporco. Quasi si percepiscono, attraverso lo schermo e la visione del film, i cattivi odori. Il degrado di uomini e cose si percepisce, si tocca, si annusa in ogni istante del film. Il magazzino, luogo della realizzazione del centopiedi umano da parte di Martin Lomax, trasuda immondo fetore. Abbandono.

La frustrazione ed il malessere esistenziale del personaggio protagonista (che lo condurrà anche alla brutale uccisione della madre, ottimamente interpretata da Vivien Bridson, allorché ella scopre l’album segreto che suo figlio ha dedicato a “The Human Centipede”) si rispecchiano nel vivido bianco e nero con il quale è stato girato il film e negli ambienti in cui operano i personaggi: la casa di Martin, il parcheggio, il magazzino, luoghi squallidi i quali non lasciano il minimo spazio ad un qualche residuale concetto di “sano” e “bello”. Tutti i personaggi sono negativi ed incarnano concetti di dissolutezza sociale o psicologica: Martin, il suo medico ed un tassista intenti a fare sesso con una prostituta, la prostituta stessa, alcune delle vittime inserite nel centopiedi umano, persone senza valori e scrupoli.

Anche l’operazione trasuda sensazioni esageratamente malsane. Se il Dr. Heiter agisce in un luogo pulito, ordinato, illustrando alle proprie vittime ogni passo dell’intervento ed effettuando il collegamento bocca-ano secondo precisi protocolli medici e chirurgici, Martin agisce esclusivamente seguendo il proprio perverso istinto. L’intervento risulta, pertanto, mal realizzato e pasticciato: rozzo e grezzo nelle modalità di esecuzione, eseguito mediante strumenti chirurgici a dir poco improvvisati, un potente lassativo a testare la avvenuta connessione tra le vittime, sangue e nauseabondi liquami corporei sparsi ovunque a conferire alla vicenda un iperbolico sapore di perversa, irrefrenabile crudeltà.

La povertà e la asprezza dei dialoghi – come detto in precedenza, Martin non pronuncia alcuna battuta, salvo emettere mugugni e versi di varia natura – e l’assidua presenza, specie nella seconda parte del film, di urla, pianti, grida di aiuto e disperazione accrescono l’angoscia e la sensazione di ruvidezza e depravazione delle scene e dell’intera vicenda. La depravazione sessuale, sociale, umana ed esistenziale regna, dunque, sovrana: Martin e le proprie perversioni sessuali, una donna incinta accidentalmente assassina del proprio figlio appena partorito (schiacciato coi piedi mentre cerca di fuggire in automobile), disturbante, incessante accanimento sulle vittime. Immoralità e degenerazione senza fine.

A completamento di questo quadro, non va trascurata la fisicità – tutt’altro che perfetta ed attraente – dell’attore che interpreta Martin Lomax: solo un Laurence Robert Harvey da premio Oscar poteva calarsi al meglio nei panni del complesso, tanto buffo quanto spietato, personaggio di Martin Lomax.

Con “The Human Centipede 3 (Final Sequence)” il registro muta nuovamente forma e sostanza.

In questo capitolo, tutto è sopra le righe, iperbolico, eccessivo, volgare, scurrile, urlato: la trama, il linguaggio, i colori, la recitazione, i personaggi. L’horror diventa trash. La presenza di Daisy aggiunge, inoltre, quel tocco pornografico e fortemente maschilista funzionale all’ideazione di un personaggio – irritante e megalomane – quale Bill Boss. Morte, sangue e violenza raggiungono, nel terzo ed ultimo atto della saga, livelli siderali. Tutto, però, appare e risulta coerente. Il film riuscirà anche a strappare evidenti sorrisi (o risate): l’abbondanza di trash e di richiami al sesso e agli organi sessuali, infatti, fa sì che il puro horror lasci il posto ad una “commedia-horror-porn degli eccessi” che sfocia, inevitabilmente, in momenti di puro, truculento intrattenimento. L’inquietudine e l’oppressione tipici del primo e secondo capitolo lasciano il posto a sensazioni più frivole, benché inserite in un contesto di estrema e violenta perversione.

Amato e detestato. Concetti e giudizi antitetici che, in fondo, riassumono con efficacia la medesima essenza incarnata dalla trilogia di “The Human Centipede”: l’horror che ha riscritto il genere horror.

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