Gruppo di famiglia in un Inferno – licantropo
Francia, Montagne del Giura, Anno del Signore 1598.
Se questo fosse una film – sentenzierebbe nel suo usuale abito rigorosamente “dark” l’ineguagliabile Carlo Lucarelli – sarebbe un film dell’orrore “anni Settanta” come, ad esempio, “Le colline hanno gli occhi” del regista Wes Craven, in parte ispirato ad un racconto dell’ineguagliabile Howard Pillips Lovecraft.
Le vicende di cui ora leggerete un necessariamente breve resoconto, infatti, hanno per protagonisti un’intera famiglia di aspiranti “licantropi”, interpreti di una tragica follia che vede come attore principale la folle Perrenette Gandillon la quale non trova di meglio da fare che andare in giro a quattro zampe credendo di essere un vero lupo. Non contenta di passare per pazza agli occhi della piccola comunità montana in cui vive, un giorno incontra in un bosco due bambini di pochi anni. Aggredisce la ragazza ma viene a sua volta assalita dal fratellino con un coltello con cui, forse, sono alla ricerca di erbe e di bacche con cui sfamarsi.
Folle d’ira gli si rivolta contro e lo sbrana davanti agli occhi della sorella. Segue un brevissimo “processo” e la folle Per renette viene fatta a pezzi dai contadini convintissimi di aver posto la parola fine alle aggressioni che da qualche tempo seminano il terrore nelle loro povere campagne.
“Tutto finito dunque!”, continuerebbe ora Lucarelli.
E invece no, il dramma continua senza sosta poiché il fratello di Perrenette, Pierre, intende tenere alto l’onore della loro famiglia di “licantropi” e confessa di potersi trasformare in “uomo-lupo” grazie ad un unguento che avrebbe ricevuto durante una sua partecipazione ad un improbabilissimo Sabba tra i boschi circostanti.
Per non essere da meno anche suo figlio Georges ammette di passare il tempo – naturalmente sotto forma di “lupo” – sbranando qualche locale povera capretta, anziché dilettarsi con i giochi che più si confanno alla sua giovanissima età.
Evidentemente la follia alberga senza distinzioni di età nella famiglia Gandillon poiché di lì a poco sua sorella Antoinette afferma di partecipare a qualche locale Sabba, offendo le sue acerbe grazie ad un nero capro che senza tema di dubbio è Satana in persona!
Tutti i membri della stranissima famiglia mostrano delle tremendi cicatrici sul volto frutto – affermano con malcelato orgoglio – delle loro continue battaglie notturne con altri cani che li avrebbero aggrediti mentre vagavano per le campagne come “licantropi”. Inoltre Antoinette pone una serissima ipoteca sul loro futuro sostenendo di poter far cadere la grandine, a volontà, sui campi di qualche vicino a lei poco simpatico…
Non c’è bisogno di altro.
Imprigionati, tutti i membri della folle famiglia Gandillon si comportano come se fossero veri lupi, correndo a quattro zampe e ululando alla luna.
Stanchi delle loro esibizioni, avendo ben altro da fare, le autorità del posto li impiccano tutti insieme appassionatamente, bruciano i loro “villosi” corpi e ne disperdono al vento le olezzanti ceneri.
A questo punto, se la vicenda fosse veramente un film, ora apparirebbe la solita scritta “The End”.
Invece le vicende in cui veri o sedicenti “licantropi” interpretano la parte del leone – pardon… del lupo! – cambiano titolo al film e ci portano ancora nella Francia degli inizi del XVI secolo…
I Licantropi del Sabba di Poligny
… In una foresta vicina a Castel Charnon incontrammo parecchie altre persone che io non riconobbi; danzammo e ognuno aveva in mano un piccolo, lume verde che emanava una luce blu… Dopo essermi spogliato, lui mi spalmò con un unguento, e allora mi convinsi di essermi trasformato in un lupo.
In un primo momento rimasi terrorizzato nel vedere le mie quattro zampe di lupo e il pelame con il quale tutto il mio corpo era stato ricoperto subito, ma poi mi resi conto che da quel momento ero in grado di muovermi con la velocità del vento. Michel si cosparse nuovamente con l’unguento e, in un lampo, riacquistammo la forma umana. L’unguento ci era stato dai nostri padroni: a me era stato dato da Moyset mentre a Michel era stato dato dal suo padrone Guillemin
Siamo nel mese di Dicembre del 1521 e così, parola più, parola meno, Pierre Bourgot chiamato anche Pierre il Grande a causa della sua gigantesca mole, confessa di aver partecipato ad alcuni Sabba, insieme al suo amico Michel Berdung, nelle foreste intorno a Poligny, in Francia.
I due “licantropi” e antropofagi vengono trascinati davanti all’Inquisitore Generale della Diocesi di Besançon e – con le buone o con le “cattive” – dopo un po’ confessano che pochi anni prima, a Poligny, una terribile tempesta aveva disperso il loro gregge di pecore. Messosi alla ricerca degli animali, aveva visto sopraggiungere tre uomini a cavallo, rigorosamente vestiti di nero.
MIB, Men in Black, molto ante litteram?
Poco importa chi fossero veramente, ma essi gli promettono di ritrovare i suoi armenti e di renderlo ricco: in cambio chiedono totale sottomissione al loro “capo”. Che, senza tema di sbagliare, identificheremmo nel Demonio…
Baciata la mano sinistra di quell’uomo – “…fredda come quella di un cadavere…” – Pierre Bourgot ritrova le sue pecore e per un po’ vive tranquillo, obbedendo agli ordini di quel misterioso individuo che dice di chiamarsi Moyset.
Un po’ la noia di una vita passata a governare un olezzante gregge di pecore, un po’ le pressioni del locale parroco, Bourgot sembra rientrare per breve tempo sotto l’ala protettrice ella Chiesa.
Mal gliene incoglie, poiché l’amico Verdung – più devoto alle sulfuree legioni – lo convince a partecipare a nuovi Sabba dove sarebbero stati trasformati in veri “lupi mannari”.
Potenza della fede nelle forze del Male e anche di qualche grammo di troppo di Datura stramonium, Giusquiamo, Cicuta, semi di Papavero, Aloe, Oppio, Assafetida, Solanum e chi più ne sa più ne suggerisca, negli unguenti che verosimilmente sogliono spalmarsi sulla pelle.
Assalite, fatte a pezzi, divoratene le carni e bevuto il sangue di alcune donne i due non sembrano sazi di follie e cruenti omicidi fino a che, nel Dicembre del 1521, non vengono processati sommariamente, molto sommariamente, e destinati alla fine che da tempo meritavano: il rogo.
“ Paura, eh?” si divertirebbe ancora a sogghignare l’ineffabile Lucarelli ignaro del fatto che a voi “vampirologi” DOC nulla (o quasi…) può ormai stimolare ulteriormente i neurotrasmettitori del sistema limbico, attivare l’ipotalamo e convincere la surrene a liberare nel vostro corpo quantità “industriali” di adrenalina!
Rassicurato l’ottimo Carlo Lucarelli, riprendiamo il cammino tra le foreste del XVI secolo infestate – si dice – da qualche “Licantropo” aspirante “vampiro”
Questo è un estratto del libro Odissee di Sangue