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Diavolo e musica – La mano sinistra del… ‘Demonio’

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Forse non era proprio del “Demonio”, ma quella del celeberrimo Niccolò Paganini (1782 – 1840) mostrava un’insolita flessibilità, che lui sfruttava per i virtuosismi di cui lui solo era capace.

Era talmente elastica che qualcuno osservò come egli, quando suonava, “accavallava i gomiti praticamente uno sull’altro”. Questa eccezionale mobilità consentì a Paganini di usare la tecnica violinistica con grande fantasia, ed il risultato è l’estrema difficoltà di certi passaggi, tanto che alcuni dei suoi “Ventiquattro capricci” restano impossibili da eseguire per chiunque altro.

Niccolò Paganini, virtuoso del violino e capace di quasi “diaboliche” esibizioni musicali.

Il medico Francesco Benati fece un lungo rapporto basato sulle sue osservazioni delle mani e della postura del corpo del violinista, affermando anche che certi atteggiamenti dell’arto sinistro potevano essere la conseguenza di un ripetuto trauma meccanico dei legamenti, che alla fine li condusse a quella loro particolare iperestensibilità.
I legamenti danneggiati prima della pubertà si riparano da sé, e dopo movimenti ripetuti essi possono effettivamente allungarsi. Il continuo esercizio potrebbe aver indotto uno strappo cronico di secondo grado dei legamenti della mano sinistra, dal quale sarebbe dipesa quell’eccezionale duttilità.

Un allievo di Paganini confermò che il violinista si esercitava regolarmente esigendo che ogni giorno venissero ripetute le scale e gli esercizi tecnici, e che si allenava febbrilmente, migliorando in questo modo la sua tecnica ed aumentando sensibilmente la sua flessibilità.
Un collega del dottor Benati, il dottor Sirus Pirondi, che conobbe Paganini nel 1839, scrisse su di lui, smentendo la teoria precedente:

Le dita della mano sinistra sono effettivamente più lunghe di almeno un centimetro. E, come risultato indubbio di una particolare disposizione dei muscoli della spalla destra, Paganini non appoggia l’archetto sul violino finché il suo braccio non ha compiuto un ampio cerchio con l’arto disteso”.

Ma è assai discutibile che la mano sinistra fosse davvero più grande della destra, ed in più queste affermazioni sul suo modo di tenere in mano lo strumento non sono supportate da alcuna prova, perché il dottor Pirondi non vide né ascoltò mai Paganini suonare, dato che all’epoca in cui lo conobbe – un anno prima della morte – il violinista era già molto malato e non si esibiva più.

Nel 1956 un medico tedesco, il dottor Schoenfeld, ha sostenuto che Paganini soffrisse della “distrofia mesodermica ereditaria di Marfan”, un’anomalia congenita del tessuto connettivo. Il fisico di chi è colpito da tale malattia è, in effetti, spesso alto e sottile in modo anomalo, e le mani sono molto grandi, iperflessibili, con le dita eccezionalmente lunghe (dita di ragno).

Anche se questa tesi risulta abbastanza attendibile – visto il fisico del musicista – la prova certa che Paganini avesse questa sindrome non c’è. Se a quella iperduttilità si deve proprio dare una spiegazione che coinvolga una malattia del tessuto connettivo, si potrebbe parlare ad una blanda variante della “Sindrome di Ehlers-Danlos” (iperelastosi cutanea), ma, tutto sommato, non ne vediamo alcuna necessità.

Tipico esempio della “Sindrome di Marfan” che consente anche una iperflessibilità delle dita. Come verosimilmente accadeva a Paganini.

In realtà il quadro sindromico marfaniano è solo la fotocopia della malattia di Paganini, che morì nel 1840 in seguito ad una “tisi laringea di origine sifilitica”, specie se si pensa alla sua accennata malattia nervosa, alla tosse stizzosa che aveva in continuazione, ed alla afonia da supposta laringite, oggi inquadrabile in un aneurisma dell’aorta superiore che comprimeva, dilatandosi, gli attigui nervi laringei.

E il suo violino, cosiddetto “Cannone“, che fine ha fatto ?

Attualmente si trova nella città di Genova, nella sede del comune dal 1851. Risale al 1742 ed è stato costruito da Giuseppe Guarnieri detto “del Gesù” in quanto firmava i suoi strumenti con una croce dopo il nome.

Che il violino sia effettivamente quello appartenuto a Paganini è provato dal suo testamento in cui dice: “lego il mio violino alla città di Genova onde sia perpetuamente conservato“.

Analizzati così, anche se molto sommariamente, quelli che potrebbero essere le scientifiche spiegazioni di come Paganini quasi ipnotizzasse i suoi estimatori con esibizioni che avevano qualcosa di sublimamente “demoniaco”, esploriamone i primi passi…

Un’anima straziata

“…Un’anima straziata che si fa strada e cerca aria…”, con queste laconiche parole il grande Franz Liszt sintetizzò la personalità di Paganini il “diabolico” violinista che tanto ha colpito l’immaginario collettivo.

Genova, 27 Ottobre 1782. Qui, in una famiglia di modestissima condizione ma in cui già aleggiava, ad opera del padre Antonio, qualcosa di ‘sulfureo’ data la sua propensione ad alternare il suo lavoro di portuale a quello di violinista dilettante e di ‘fattucchiere’, nasce il nostro Niccolò.

Già in tenerissima età Niccolò mostra una straordinaria propensione per la musica, facendo notare all’eclettico padre le sue stonature musicali nell’eseguire alcuni brani, mentre a soli sette anni inizia a studiare lo strumento che lo farà diventare universalmente celebre e che farà aleggiare sulla sua ‘demoniaca’ figura leggende ove il ‘Maligno’ compare quasi come suo ‘padre putativo’ e ‘Maestro’ di chissà quali sulfuree cerimonie. Mai avvenute, ovviamente.

Già a soli dodici anni, Paganini fa andare in visibilio il suo pubblico mentre esegue scarmigliato, sudato, con il volto paonazzo, quasi in delirio, alcuni virtuosismi musicali con il suo ‘stregato’ strumento, il mitico ‘Guarneri del Gesù’, ‘torturato’ fino all’eccesso dalle strane, ossute dita dell’imberbe genovese.

Il pubblico va letteralmente in  estasi e tutto ciò avverrà negli anni che seguono, durante ogni esibizione dell’inquietante violinista.

Niccolò Paganini, geniale ed eccentrico violinista ma anche abilissimo curatore della propria ‘sinistra’ e ‘diabolica’ fama.

La vita del giovane Paganini trascorre tra movimentate galanti avventure, da fare quasi concorrenza a Casanova, ed esaltate dichiarazioni in cui si presenta come ‘cognato’ di Napoleone Bonaparte solo per aver ‘biblicamente conosciuta’ Elisa, sorella maggiore del Grande Corso e moglie di Felice Baciocchi, legata particolarmente al  territorio italiano, quello della Toscana, ove regnò, dal 1805 al 1814, come principessa di Lucca e Piombino e poi anche come granduchessa di Toscana.

Elisa Baciocchi, sorella di Napoleone Bonaparte e amante di Paganini, dette a quest’ultimo la possibilità di presentarsi come ‘cognato’ del Grande Corso. Una delle tante ‘follie’ del genio musicale genovese.

Non disdegna neppure di manifestare le sue simpatie per le idee rivoluzionarie e tutto ciò non può che accrescere l’aura di intemperante, di allucinato musicista, di ‘assatanato’ tombeur de femmes che letteralmente accompagna ogni sua esibizione musicale. E’, insomma, ritenuto quasi… ‘figlio del Demonio’.

La sinistra fama sembra accrescersi quando per un banale incidente che lo ha reso temporaneamente claudicante, qualcuno ‘sussurra’ che la menomazione è certamente dovuta ad un ‘piede caprino’ che molto da vicino ricorda uno dei vari stereotipi con cui vengono raffigurati personaggi ‘infernali’.

E naturalmente Paganini non fa nulla per allontanare da sé l’odor di zolfo!

Anzi, per alimentare la sinistra fama – che evidentemente fa lievitare e non poco il suo ‘chachet’ – si esibisce in virtuosismi che avrebbero fatto impallidire il violinista più bravo e, non pago di tutto ciò, non si meraviglia affatto quando durante i suoi concerti,  le corde del suo meraviglioso strumento – una dopo l’altra! – si spezzano mentre lui, come se nulla fosse accaduto, continua imperterrito a suonare con un violino che alla fine del concerto è ridotto quasi alla sola cassa armonica!

Il solito ‘Rasoio di Occam’ – ovvero il sano principio dell’economia delle cause – ci spingerebbe a pensare a qualche geniale trovata ‘tecnica’ in base alla quale egli riusciva ad allentare oppure a rompere le corde, ben sapendo come continuare – ‘diabolicamente’! – il sulfureo concerto.

A pensar male si va all’Inferno – è proprio il caso di dirlo –  ma spesso ci si indovina…

Lasciamo ora Paganini e avviciniamoci ad un altro strano musicista che con il “Principe delle Tenebre” sembra abbia avuto un inquietante incontro onirico…

Un “diabolico” sogno

“… Una notte sognai d’aver patteggiato col Diavolo, a prezzo della mia anima. Tutto andava secondo i miei cenni: il mio servitore preveniva ogni mio desiderio. Tra le mie idee, vi era stata anche quella di dargli il mio violino, per vedere se fosse stato capace di suonare qualche pezzo grazioso. Ma grande fu il mio stupore quando udii una sonata così meravigliosamente bella, eseguita con tanta arte e perizia che il più ardito volo di fantasia non avrebbe potuto raggiungerla…”

Così esordisce il ventunenne Giuseppe Tartini (1692 –1770), nel raccontare al  memorialista Jean Jacques de Lelande, una sua stranissima avventura notturna.

Il de Lelande viaggiando per l’Italia, annotava ogni ‘curiosa’ notizia di cui veniva a conoscenza e ne riportò in un suo libro intitolato ‘Voyage d’un Francoise en Italie, fair dans le annees 1765 et 1766’, pubblicato a Parigi nel 1769, operetta che veniva apprezzata moltissimo nei salotti francesi.

Al memorialista francese, Tartini racconta di una sua strana esperienza a metà strada tra l’incubo e la più gratificante delle esperienze oniriche.

Questa esperienza – di cui vedremo tra poco qualche altro ‘sulfureo’ sviluppo’ – avviene in un convento di Assisi, in un periodo in cui il giovane musicista attraversa una profonda crisi interiore. In realtà, la vita di Tartini si potrebbe dividere in due lunghi periodi, tra i quali egli subisce una curiosa trasformazione caratteriale di cui ora vedremo gli sviluppi.

Pirano (Istria), 8 Aprile dell’Anno del Signore 1692. Nella famiglia di un modesto mercante fiorentino nasce Giuseppe, subito destinato dal padre – uomo di scarse qualità e soprattutto eccessivamente ‘timorato di Dio’ – ad un’improbabile carriera ecclesiastica, unica, ’brillante’ soluzione – a quei tempi – per dare un minimo d’istruzione ai figli, in maniera del tutto indipendente da qualsiasi aspirazione, talento o desiderio della prole. Così Giuseppe Tartini passa i suoi primi anni nell’Oratorio dei Filippini, per poi venir ‘rinchiuso’ in un collegio gestito dai Padri francescani, a Capodistria. E qui fa l’incontro della sua vita.

Non, non un incontro sentimentale, non un’improvvisa crisi mistica, nulla di tutto questo: il giovanissimo Giuseppe ‘incontra’… un violino! E questo violino cambia la sua esistenza e il suo carattere, trasformando un mite ragazzo in un violento ed insofferente contestatore di tutto e di tutti. Trascura il breviario, le Messe, gli incensi e frequenta le scuole di scherma e, forse, anche ‘cattive’ compagnie.

Il musicista Giuseppe Tartini, oltre ad essere stato un valente violinista è anche l’autore del magnifico ‘Trillo del Diavolo’, il cui ‘coautore’, secondo la leggenda diffusa dal Tartini stesso, sarebbe stato Satana in persona. O, più razionalmente, il suo tormentato subconscio

Giunge ad uno strano compromesso con il padre che gli consente di frequentare l’Università di Padova ma solo se avesse indossato l’abito talare. Quest’ultimo elemento non lo esime però da gettarsi in violenti scontri all’arma bianca contro gli studenti lombardi. Tra duelli ed avventure galanti trova anche il tempo e l’occasione di frequentare la casa del Doge, dove incontra il violinista Francesco Maria Veracini e rimane affascinato, per sempre, dal ‘demone’ della musica.

Non appena Veracini posa il violino con cui aveva incantato gli ascoltatori, Tartini , quasi in un quello che oggi definiremmo ‘stato alterato di coscienza’, afferra lo strumento musicale e suona divinamente. O ‘diabolicamente’…

Scompare lo svogliato studente di teologia, scompare il violento spadaccino e appare un appassionato violinista che ancor di più affascina quel pubblico, quasi incuriosito da quel giovane sconosciuto che aveva improvvisamente deciso di abbandonare la spada a favore di uno strumento che quasi un secolo più tardi – nelle mani di un ‘demoniaco’ Niccolò Paganini – trascinerà gli ascoltatori in atmosfere ‘magiche’ e ‘sulfuree’. Completati di malavoglia gli studi Tartini giuridici si innamora di tale Elisabetta Pramazzone e la sposa di nascosto suscitando – c’era da aspettarselo! – l’ira funesta del padre e del Cardinale Cornaro, zio della ben poco fortunata ( e poi vedremo il perchè) ragazza impalmata dall’eclettico violinista.

I due fuggono, ma Tartini è costretto a lasciare la moglie a Venezia e si rifugia in un convento di Assisi. Qui il ‘demone’ della musica – fortunatamente! – lo perseguita nella persona di un religioso boemo, padre Cernohorsky, valente musicista. Ma Tartini, come abbiamo visto è ricercato dagli uomini del cardinale Cornaro ed è costretto a suonare, durante la Messa domenicale, addirittura dietro una tenda.

Però il ’Diavolo’, si dice, ‘fa le pentole ma non i coperchi’ e durante una funzione religiosa un improvviso colpo di…’diabolica’ corrente d’aria  – evidentemente mal contrastata dalla locale ‘acqua Santa’! – sposta l’improvvisato paravento e qualcuno lo riconosce, denunciandolo all’inviperito Cardinale.

Ed è proprio nelle angosciose notti che seguono che Tartini fa lo strano sogno che costituisce l’incipit di queste note…

Il ‘diabolico’ sogno

“… Talchè – e qui riprendo la descrizione del ’diabolico’ sogno del nostro musicista – ne fui così trascinato, rapito, incantato che mi si arrestò il fiato e mi svegliai: afferrai subito il mio violino per fermare nella realtà una parte almeno dei suoni che avevo udito in sogno, ma invano…”.

Ebbene sì, come era avvenuto nella chiesa in cui Tartini suonava di nascosto, anche questa volta un ipotetico, onirico ‘Maligno’ si dimentica dei metaforici ‘coperchi’ e la memoria a breve termine, oppure una confusa ‘fase REM’ ( Rapid Eye Movement),  fa subito dimenticare al nostro violinista la vera sequenza delle ‘sulfuree’ note musicali create ( o percepite?) dalla sua mente.

Ecco come in una vecchia stampa fu raffigurata l’onirica avventura di Giuseppe Tartini, durante la quale il ‘Principe delle Tenebre’ in persona gli avrebbe suggerito un inquietante brano musicale, oggi noto appunto come ‘Trillo del Diavolo’

“… Allora – egli amaramente prosegue – composi una musica, la migliore che abbia scritto nella mia vita e la chiamai e la chiamo ‘Sonata del Diavolo’. Ma la distanza tra essa e quella che mi aveva tanto preso è sì grande che avrei fatto a pezzi il mio strumento, rinunziando per sempre alla musica, se mi fosse stato possibile privarmi delle gioie che essa sempre mi ha dato…”.

Ciò che Tartini trascrisse appena destatosi dal ‘demoniaco’ incubo, viene provato e riprovato infinite volte, fino ad ottenere una trascrizione quanto più aderente alla ‘Sonata’ del suo sogno. Tal trascrizione, viene data alle stampe solo nel 1798, ben ventotto anni dopo la morte del celebre violinista.

Prima parte della ‘Sonata’ nota come ‘Trillo del Diavolo’, ‘ascoltata’ da Tartini – così egli stesso riferì – durante un’angosciosa esperienza onirica.

Oggi noi conosciamo questa composizione musicale come ‘Trillo del Diavolo’ e ad esso attribuiamo chissà quali segreti, ‘ematici patti’, chissà quali blasfeme, intime ‘vendite’ tra il musicista istriano e l’inafferrabile ‘Principe delle Tenebre’, ma probabilmente la verità deve essere ricercata nella sfera dell’inconscio, nei meandri di una mente che aveva vissuto infiniti contrasti, angosce, paure, rabbie non sfogate, una mente che, insomma, aveva molto sofferto. E molto, in realtà, soffrirà ancora anche a causa di disagi economici e di problemi psichici e fisici della moglie alla quale si era ricongiunto dopo l’inaspettato perdono dell’iracondo Cardinale Cornaro.

La morte del ‘padre-padrone’ aveva forse reso ’libera’ l’anima di Tartini, aveva posto la parola fine al primo convulso periodo della vita del geniale musicista e probabilmente il ‘Trillo del Diavolo’ costituisce una sorta di sua ‘catarsi’ in cui emergono i conflitti interiori del suo spirito, una suggestiva – apparentemente ‘sulfurea’ – manifestazione di un processo di crescita interiore di un’anima finalmente e paradossalmente ora compenetrata dal ‘Bene’ e non, come si potrebbe pensare, dal ‘Male’.

Nel primo movimento (Larghetto affettuoso) si possono percepire più gli influssi della ‘scuola napoletana’ del Durante e del Pergolesi che quelli ‘veneziani’ dell’Albinoni o del Vivaldi, ma esso è del tutto originale e ci fa immaginare un Tartini assorto in pensieri dominati da idilliache visioni, ma subito dopo la musica cambia e non possiamo non  immaginare un turbinio di demoni che tentano disperatamente, ma invano, di impadronirsi dell’anima del compositore. Ma, si sa, ‘ubi maior minor cessat’ ed ecco apparire proprio nelle note musicali del ‘Trillo’, e nella nostra mente, Satana in persona.

Però, nonostante l’onirico’odor di zolfo’, il musicista sembra non farsi turbare, resiste indefessamente agli attacchi del ‘Principe del Male’ che raduna le proprie diaboliche schiere per sferrare un altro, musicale, tremendo assalto.

Ancorai invano! L’animo musicale del compositore – pur trascrivendo sul pentagramma quasi tutti i suoi turbamenti, le sue angosce vissute nell’affascinante dimensione del sogno – rimane sereno e, sempre musicalmente, riafferma la propria fede nelle forze del ‘Bene’. Dopo un altro, tremendo ma inutile assalto, del ’Maligno’ la ‘Sonata’ si conclude con la vittoria della ’Luce’ contro le ‘Tenebre’.

E tutto ciò si manifestava – e tuttora così avviene – con un ‘diabolico’, suggestivo alternarsi di note musicali, di accordi, di un indescrivibile muoversi delle dita del musicista sul suo amato violino.

Probabilmente anche in questo caso l’insostituible ’Rasoio di Gugliemo di Occam’, che già avete incontrato su queste pagine, ci ha aiutato ad interpretare un po’ più razionalmente un bellissimo, discusso, brano musicale ove il diabolico ‘zolfo’ potrebbe venir sostituito da un più ‘freudiano’… profumo di ‘incenso’.

Ancora due passi nel “diabolico” universo della musica?

Vediamo allora qualcosa su strani e “misteriosi” aspetti del variegato mondo delle sette note…

La Triade Perversa e il “Diabolus in musica”

L’accordo di Triade, anticamente, era considerato la manifestazione della Trinità divina ed era, ovviamente, capace di produrre positivi effetti sull’animo umano, poiché i tempi ritmici ternari venivano considerati perfetti, diversamente da quelli binari per loro natura imperfetti.

In una sorta di dualismo musicale, di interpretazione quasi ‘manichea’ dell’armonia (o disarmonia?) dei suoni, nel Tritono – tecnicamente definito come l’intervallo di quarta aumentata o quarta eccedente – tra una nota e l’altra c’è una distanza di tre toni,  che corrisponde anche alla metà esatta di una ottava.

Per questo motivo ripetendo ciclicamente dei Tritoni, l’orecchio umano non risulta più in grado di capire se l’intervallo è ascendente o discendente, generando così una sorta di paradosso auditivo, di disagio, di ‘pervertimento’ dell’armonia dei suoni.

Ora, questo voluto sovvertimento degli accordi della Triade – una delle maggiori dissonanze della scala diatonica – dava origine a quella che  opportunamente fu definita ‘Triade Perversa’, in grado di influire negativamente sull’animo umano tanto che alcuni trattatisti medievali, tra i quali anche Guido d’Arezzo, giunsero a proibirla.

Il cosiddetto Tritono, elemento determinante della Triade Perversa, del Diabolus in musica

Nel 1725 il compositore J.J. Fux, il quale aveva a lungo studiato la presenza del Diabolus in musica, nel suo “Gradus ad Parnassum, stigmatizzò aspramente l’uso di tali ‘sulfurei’ intervalli melodici anche se moltissimi compositori ne abusarono proprio per creare nell’ascoltatore cupi sentimenti di angoscia, di turbamento, di morte.

Due secoli più tardi, Reinhold Hammerstein scrisse addirittura un interessante trattato intitolato “Studien zur Ikonographie der Musik im Mittelalter”, in cui analizzava criticamente i rapporti tra la musica dei secoli XV e XVI e il Grande Tentatore, il Demonio.

Sbirciando (per caso, ovviamente!) queste  riflessioni, mia figlia Susanna – psicologa alquanto lontana da tali “sulfurei” argomenti e già da voi incontrata sulle pagine di Emadion – mi ha suggerito che un suo illustre collega d’Oltreoceano, il dottor Roger Shepard, ha ideato un canone musicale eternamente ascendente, noto come “Scala Shepard”.

In pratica, una determinata scala viene suonata contemporaneamente su diverse ottave differenti, mentre varia anche l’intensità delle scale, in modo che mentre una diminuisce di intensità, un’altra aumenta. L’effetto è quello di una scala che sale di altezza in modo indefinito, con curiosi effetti sulla psiche degli ascoltatori. Effetto utilizzato, nella musica moderna,  dai Pink Floyd, alla fine della suite Echoes, contenuta nell’album Meddle

Ora volete un altro esempio di come la musica possa creare ad arte distonie – ovvero alterazioni muscolari o nervose – e malesseri nel caso in cui, in maniera iterativa, vengano prodotti accordi musicali ‘diabolici?

Ascoltate la conclusione del celeberrimo “Bolero” di Maurice Ravel, soprattutto nella parte in cui l’autore ha inserito – consapevole dell’effetto? – una serie di accordi dissonanti, tra cui un intervallo musicale costituito da una ‘quarta’ aumentata (cioè Do, Fa diesis, il Tritono di cui abbiamo già fatto cenno), accordi decisamente lontani dalle leggi convenzionali dell’armonia. Ma anche in tempi a noi più vicini sono stati  eseguiti approfonditi studi sui deleteri effetti di certi suoni sulla psiche.

Negli anni Ottanta del secolo che da pochi anni ci ha lasciati, ad esempio, Rodney Needham si occupò degli effetti neurofisiologici dei suoni emessi dal tamburo – in alcuni casi al limite della gamma infrasonica, cioè sotto i 16 Hertz – constatando che che le onde sonore generate da questo strumento provocavano innegabili effetti sia di tipo organico sia psichico negli ascoltatori, indipendentemente dalla loro formazione culturale. In particolare appurò che le vibrazioni acustiche a bassa frequenza agivano sull’orecchio interno, organo che influisce anche sulla posizione assunta dal corpo, sul tono muscolare, sul ritmo respiratorio, sulla frequenza cardiaca, sulla pressione sanguigna, su alcuni riflessi oculari e soprattutto su irrefrenabili sensazioni di nausea. Erano più o meno le stesse conclusioni raggiunte circa venti anni prima dal neurofisiologo Andrei Neher nel suo lavoro “A Phisiological explanation of unusual behavior in cerimonies involving drums”, pubblicato sulla rivista scientifica Human biology (anno 1962, volume IV, pagg. 151 – 160).

Soprattutto le vibrazioni acustiche a bassissima frequenza possono produrre tali effetti, spesso sfruttati anche dai musicisti dediti al ‘rock satanico’, perché certi stimoli sonori – proprio in funzione della loro frequenza estremamente bassa – possono innescare fenomeni di trascinamento delle onde alfa generate dall’encefalo, oscillanti tra  gli 8 e i 14 Hertz, e alterare così il fisiologico funzionamento del più importante organo di quella complessa entità biologica chiamata Uomo.            

Musica luciferina?

Per esaminare il sulfureo’ argomento in modo diacronico partiamo da molto lontano,  dal Concilio di Colonia svoltosi nel 1316, durante il quale fu sancito che era proibito intonare la melodia Media Vita poiché essa poteva causare turbamenti e sofferenze negli ascoltatori.

La melodia Media Vita, apportatrice – sembra… – di sofferenze di natura psicologica.
Non da meno furono Modest Mussorgski con la sua celebre composizione Una notte sul Monte Calvo, Paul Dukas con l’altrettanto celebre L’apprendista stregone, Prokofiev con L’Angelo di fuoco, oppure Hector Berlioz con la Dannazione di Faust.
A sinistra, Modest Mussorgski e a destra Paul Dukas, autori che, almeno saltuariamente, hanno inserito nelle loro opere qualcosa di ‘sulfureo’

Lo stesso Beethoven, la cui produzione musicale è abbastanza lontana da quelle che abbiamo definite atmosfere sulfuree, suggestionato dalla lettura del dramma di Shakespeare “Macbeth” si cimentò in un’opera a cavallo tra questo e l’altro mondo, componendo, nel 1808, un’opera che mia moglie Rita, pianista e docente di musica, definirebbe correttamente “Trio in Te maggiore per pianoforte violino e violoncello opera 70” ma che noi, meno avvezzi a cotanta musical cultura, chiameremo “Geistertrio” ovvero il “Terzetto dei fantasmi”.

La professoressa di musica e pianista Rita Boscarini, consorte dell’autore di questo articolo ma interessata agli aspetti meno “sulfurei”, più classici, dell’universo delle sette note

Ricchi di suggestioni misticheggianti, non proprio di matrice luciferina anche se troppo spesso utilizzate come colonna sonora di film orrorifici sono, infine, le Cantiones profanae cantoribus et choris cantandae, composte da Karl Orff – ben più noti come Carmina Burana – tratte da un manoscritto medievale. In realtà i Carmina Burana sembrano più un inno alla Luce, alla Vita che alle Tenebre, di cui un fugace accenno si nota soltanto su riflessioni riguardo alla caducità delle cose terrene, come traspare ad esempio dai versi “O Fortuna velut luna, statu variabilis” in cui gli umani destini vengono giustamente paragonati al mutevole aspetto che ci offre periodicamente il nostro satellite naturale.

Ma non solo la musica può causare inquietudine, disagio, effetti deleteri sull’animo umano. Anche alcuni strumenti particolari sembrano produrre, unicamente grazie alle vibrazioni acustiche da essi generate, strani effetti – quasi ipnotici… – sugli ascoltatori. È questo il caso, ad esempio, della ‘Armonica a coppe di cristallo’. Realizzata nel Settecento dal musicista irlandese Richard Puckridge, era costituita da una serie di calici di vetro riempiti di vino e saldamente fissati ad un’elegante base di legno.

Artisti di strada suonano particolari e strani strumenti, tra i quali – a sinistra – l’Armonica a coppe di cristallo.

Strofinando i polpastrelli delle dita sul bordo di ogni coppa e variando la pressione esercitata, si potevano ottenere suoni a diverse frequenze, con durata e timbro variabili. Apprezzata in un primo tempo da Benjamin Franklin, Goethe e Mozart – il quale gli dedicò la composizione K.617 – finì pere essere accantonata poiché si diceva che le note emesse dallo strumento conducessero alla follia e alla morte.

Versione “da concerto” dell’Armonica a coppe di cristallo

La sinistra fama sembrò affermarsi soprattutto dopo la precoce morte della musicista Marianne Kirchgessner e dopo le dichiarazioni di un’altra musicista, Marianne Davies, che ne aveva constatato i deleteri effetti sul suo sistema nervoso. Esagerazioni? Influenza realmente esercitata dallo strano strumento? Quel che  certo è che in pieno Secolo dei Lumi, la cosiddetta Armonica a coppe di cristallo venne definitivamente relegata tra gli strumenti musicali ‘in odor di zolfo’ e di essa si persero le tracce.

Anche Benjamin Franklin si innamorò dei misteriosi suoni che scaturivano dall’Armonica a coppe di cristallo. Però non pare ne venisse particolarmente turbato.

In questo recente libro troverete  molti Stregoni della Musica, quali Niccolò Paganini e il suo diabolico violino a cui “saltavano” regolarmente le corde durante l’istrionica esibizione del grande Maestro. Potrete poi suonare il Trillo del Diavolo di Giuseppe Tartini di cui nel libro è riportato lo spartito, ma sarete anche in grado di udire quali strane melodie possono scaturire da brevissimi ed enigmatici brani musicali raffigurati in curiosi dipinti o graffiti su antichissimi muri, poiché alla fine del libro troverete una sorta di trascrizione di note musicali-numeri, proprio come avviene nel sistema semplificato, per imparare a suonare, di una nota marca di tastiere elettroniche. Infine, non sentirete la nostalgia del geniale Nikola Tesla perché troverete un intero capitolo dedicato alla “Musica ad Alta Tensione” e scoprirete che la musica si può creare con qualsiasi cosa. Anche con pezzi di automobile, calici di cristallo e coperchi di pentole!

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