La storia italiana è colma di casi irrisolti. “Misteri italiani”, vengono sovente definite queste vicende – di cronaca o politica – lungi dall’essere ufficialmente chiarite e, quindi, consegnate alla storia condivisa. Fatti che, inevitabilmente, destano interesse e curiosità, stuzzicando la fantasia di studiosi, esperti, storici, semplici appassionati: il “mistero”, si sa, affascina e solletica, anche quando si tratta di fatti di sangue. In questo senso, la storia del Mostro di Udine si colloca a pieno titolo nella vasta e policroma fascia dei grandi “misteri italiani”.
Le vittime
Notti di pioggia, fine settimana, prostitute. Sono tre delle numerose caratteristiche riconducibili al cosiddetto “Mostro di Udine”. La scia di sangue inizia – o meglio, inizierebbe – il 21 settembre 1971. All’interno della propria automobile, giace privo di vita il corpo di Irene Belletti. Si era appartata nei pressi della Stazione del capoluogo friulano. La donna è stata uccisa con diversi fendenti. L’auto di Irene rivela numerose impronte digitali, forse anche quelle del suo assassino.
Il 6 novembre del 1972, in un appartamento del centro di Udine, viene ritrovato il cadavere di Elsa Moruzzi, 52 anni: le cronache parlano di cranio sfondato e di strangolamento. Nel dicembre 1975, è la volta di Eugenia Tilling: il collo della donna è trafitto da mortali pugnalate.
Alla fine del settembre 1976, viene ritrovato il cadavere di un’altra donna, presso Moruzzo: si tratta di Maria Luisa Bernardo. Anche lei, come la prima vittima – Irene Belletti – è uccisa a pugnalate: la lama dell’assassino trafigge varie parti del corpo. Facile, dunque, ipotizzare un collegamento tra i due delitti.
3 ottobre 1979: a Colugna, in provincia di Udine, Jacqueline Brechbullher – 46 anni, francese, sposatasi ad Udine alla fine degli Anni ’60 – è assassinata con dieci coltellate.
Il 19 febbraio 1980, nei pressi di Pradamano (Udine), viene scoperto il cadavere di Maria Carla Bellone, 19 anni, prostituta. La Bellone, a tutt’oggi, è la prima delle quattro vittime sicuramente riconducibili al “Mostro di Udine”. Le altre vittime attribuibili senza dubbio al “Mostro di Udine” sono: Luana Gianporcaro (22 anni, prostituta), uccisa il 24 gennaio 1983; Aurelia Januschewitz, prostituta di 42 anni, uccisa il 3 marzo 1985; Marina Lepre, maestra di scuola elementare, madre di 40 anni, separata, uccisa il 26 febbraio 1989. Il corpo della donna viene rinvenuto sulle sponde del fiume Torre, affluente dell’Isonzo; sul ventre della vittima, spicca una lunga incisione ad “S”. Immancabili le ferite al collo e alla gola. Quattro donne accomunate da un preciso modus operandi.
Ma non è tutto. Tra il marzo 1980 ed il settembre 1991, altre donne vengono ritrovate morte in circostanze ancora poco a fuoco, benché, in due casi, altrettanti uomini vengano consegnati alla giustizia. Stiamo parlando di altre, presunte vittime attribuibili al “Mostro di Udine”: Wilma Ghin, il cui corpo carbonizzato viene ritrovato presso Gradisca il 4 marzo 1980; Maria Bucovaz, uccisa strangolata nel 1984; Matilde Zanette, 44 anni, uccisa il 9 settembre 1984 (per questo omicidio, è arrestato Gianluigi Sebastianis, il quale prima confessa il crimine, quindi ritratta. Verrà comunque condannato a 17 anni di reclusione); Stojanka Joksimovic (strangolata nel dicembre 1984); Nicla Perabò, uccisa nel settembre 1991 (per questo delitto, è arrestato Bruno Leita, condannato nel gennaio 1993 a 17 anni e mezzo di carcere).
Chi è il Mostro di Udine?
Questa semplice domanda vaga e aleggia come uno spettro sin dagli Anni ’70. Il caso del Mostro di Udine, tuttavia, non trova vie investigative nette e produttive. Tra mancanze di prove, significative ed approfondite indagini e metodologie scientifiche ed investigative che, oggi, potrebbero invece portare alla cattura dell’assassino, il Mostro di Udine non ha mai svelato la propria identità.
Esperti del settore – profiler, medici legali, anatomopatologi – hanno cercato a più riprese di tratteggiare le peculiarità che contraddistinguono questo omicida seriale. Si tratta, dunque, di un uomo che nutre profondi e sadici rancori verso le donne. Emerge prepotente, pertanto, un senso di frustrazione prodotto da un evento traumatico. I corpi delle vittime, oltre a presentare varie ferite da taglio (soprattutto alla gola e al collo: tutte le vittime attribuibili al “Mostro di Udine” sono morte per ferite da taglio localizzate sulla regione anteriore o laterale del collo), palesano una inconfondibile incisione ad “S” su ventre e addome (sino al pube), probabilmente praticato mediante l’uso di un bisturi chirurgico.
Tagli longitudinali o trasversali rituali intesi esclusivamente a mutilare – ma senza uccidere – la vittima (al contrario dei tagli al collo), affermano gli esperti. Nel primo omicidio si conta un unico taglio, nel secondo delitto i tagli diventano due, quindi tre sul corpo della terza vittima accertata e così via. In un solo caso, i tagli presentano segni di cauterizzazione. Le vittime sicuramente attribuibili al Mostro di Udine vengono uccise tra fine gennaio ed i primi di marzo, sempre nei fine settimana e in notti piovose. Elementi distintivi tipici di una unica mano, di una unica regia criminale.
Un uomo, il Mostro di Udine, che prova odio verso le donne ma, al contempo, conosce bene l’anatomia femminile. E, soprattutto, sceglie con cura le proprie vittime. Donne indifese, deboli, prostitute o che, verosimilmente, confonde per tali.
Alcune fonti, indicano le vittime accomunate dall’ambiente ospedaliero: una visita medica, un ricovero, tossicodipendenza, problemi psichici. Secondo alcuni esperti, l’omicida seriale è un uomo che, per qualche ragione, non ha potuto esercitare la professione medica. I tagli, infatti, sono compatibili con le allora tecniche impiegate per i parti cesarei. Un uomo fragile, evidentemente psicopatico, la cui frustrazione, anche sessuale, è stata incanalata ed espressa sottoforma di rabbia omicida misogina.
Il sospetto
Il Mostro di Udine, almeno in forma ufficiale, non ha nome né volto. Tuttavia, all’indomani del già menzionato delitto di Marina Lepre (26 febbraio 1989), accade un fatto che ancora oggi fa discutere e che solleva più di un punto di domanda. Poco distante dal punto in cui viene rinvenuto il cadavere di Marina Lepre, vi è un uomo in evidente stato confusionale. Disperato, continua a chiedere perdono. Perdono per cosa? Gli investigatori identificano l’uomo: è un sessantenne, laureato in ginecologia ma che non ha mai potuto esercitare la professione medica a causa dei suoi disturbi psichici. Il nome dell’uomo non è mai stato reso pubblico, ieri come oggi.
In mano, però, gli investigatori hanno pochi e lacunosi indizi. Uno scialle, appartenuto a Marina Lepre, presenta tracce interessanti, ma i reparti scientifici non hanno mai evidenziato riscontri riconducibili all’unico sospettato. Il medico, frattanto, è morto. Era il 2006. Il reato, di fatto, si è estinto con la morte dell’uomo, l’unico indiziato.
Il Mostro di Udine è davvero quest’uomo, ormai deceduto, il cui nome non è mai stato reso noto? Un medico con disturbi psichici il quale, quindi, non ha mai potuto esercitare la professione? Un individuo che, nei pressi del luogo del ritrovamento del corpo di quella che è identificata come l’ultima vittima realmente attribuibile al “Mostro”, grida perdono?
Le teorie e le suggestioni si susseguono. C’è chi arriva persino ad ipotizzare la presenza di due serial killer, che agiscono secondo modus operandi differenti: lo strangolatore ed il “chirurgo” munito di bisturi. Verità, leggenda? Esiste una terza opzione: il Mostro di Udine è ancora vivo.
È quest’ultima, probabilmente, l’ipotesi più inquietante, ancorché non dimostrabile. Un serial killer che ha agito in passato, manifestando più o meno lunghe pause tra un delitto e l’altro, ma che, da decenni e per ragioni a noi ignote, sarebbe silente, non più attivo.
I delitti del Mostro di Udine non hanno mai avuto la visibilità ed il clamore che, generalmente, spettano a simili casi di cronaca nera. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, quelle morti prive di colpevole fanno timidamente capolino nelle pieghe della affollata cronaca nera italiana. La nota trasmissione televisiva “Chi l’ha visto?” e, in particolare, la figlia di Marina Lepre – Fedra Peruch, all’epoca dei fatti una bambina di circa 9 anni – hanno cercato in tempi recenti di riaccendere i riflettori attorno ad un caso di cronaca tutt’altro che marginale.
È proprio la figlia di Marina Lepre, in questo senso, la più intraprendente. Ella fornisce anche una sua versione dei fatti. Marina Lepre, all’epoca del proprio delitto, è una donna separata: la separazione dal marito, inoltre, le provoca un grave stato depressivo. Secondo Fedra Peruch, la madre – quella sera del 26 febbraio 1989 – chiede un passaggio in auto per tornare a casa. Probabilmente, non se la sente di guidare in uno stato psicofisico non ottimale. Ad offrirle il passaggio, però, è il “Mostro”, il quale, secondo Fedra, scambia la madre per una prostituta. Gli eventi, allora, precipitano e culminano nell’omicidio.
Marina Lepre stringe in mano un ignoto mazzo di chiavi. Gli inquirenti non sono mai risaliti al proprietario di queste chiavi.
Il caso del Mostro di Udine, ormai, giace nei cassetti e negli armadi dei palazzi di giustizia. Archiviato. Vicende passate quasi sotto silenzio all’epoca dei fatti, più tardi definitivamente dimenticate.
Assassini seriali i quali, dopo aver colpito e seminato paura tra la popolazione, scompaiono nell’ombra, casi irrisolti, identità mai svelate, “mostri” dai modus operandi intrisi di ritualità.
Chi è davvero il Mostro di Udine?
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