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Intrigo a Torino: chi ha ucciso Erio Codecà?

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omicidio Erio Codecà

La cronaca nera non contempla solo serial killer ed efferati omicidi commessi da psicopatici e psicotici. Non ci sono solo ed esclusivamente – citando due tra i più diffusi e consueti “filoni” criminali – delitti a sfondo sessuale o para-religioso.

Anzi, diciamola tutta e sino in fondo: probabilmente, sono le grandi cospirazioni nazionali ed internazionali, sono gli intrighi nazionali e sovranazionali – in cui insabbiamenti, spionaggio, politica, affari, denaro, questioni militari e delitti si mescolano e concorrono sino a delineare uno scacchiere così complesso, elaborato, esteso e spesso incomprensibile nelle più microscopiche dinamiche da far rimanere letteralmente a bocca aperta – a suscitare quell’imperituro fascino intriso di inestricabili punti interrogativi e sottile mistero.

L’omicidio di Erio Codecà rientra, a pieno titolo, nella sfera dei suddetti intrighi. Un caso irrisolto il quale, a tanti anni di distanza, ancora è in grado di destare mistero, nonché capace di evocare un periodo storico assai multiforme.

Siamo, infatti, nel 1952 e l’Italia sta uscendo dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale. La tanto paziente quanto inesorabile ricostruzione materiale e morale del Paese non è priva di lati oscuri: trame politiche nazionali ed internazionali (l’Italia è tra i Paesi più coinvolti nelle tenebrose macchinazioni che contraddistinguono la Guerra Fredda) e antichi rancori figli della guerra da poco lasciata alle spalle andranno a caratterizzare tutto il secondo dopoguerra italiano.

Erio Codecà, l’uomo ombra della FIAT?

Erio Codecà nasce a Ferrara nel 1901. Laureatosi nel 1926 a Grenoble e assunto alla FIAT, Codecà diviene ben presto figura portante della Casa automobilistica torinese. È inizialmente inviato a Bucarest, in Romania, quindi a Berlino, in Germania, incaricato di agire come tramite tra le filiali europee e la Casa madre. Uomo, dunque, abituato a viaggiare, a intrattenere rapporti professionali di respiro internazionale in un periodo storico – a cavallo tra le due guerre mondiali – particolarmente turbolento e di difficile interpretazione.

A partire dal 1935, pertanto, Codecà è attivo in Germania: è uno dei massimi dirigenti della Deutsche FIAT Automobil Verkaufs. Il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori è al timone della Germania da due anni: è il Terzo Reich hitleriano.

Erio Codecà rimane in Germania sino al 1943, un anno cruciale per le sorti del conflitto e, soprattutto, per la storia d’Italia. Il 25 luglio 1943, infatti, Benito Mussolini viene sfiduciato dal Gran Consiglio del Fascismo: è la fine del regime fascista. Subentrerà il governo guidato dal Maresciallo Pietro Badoglio il quale, il 3 settembre in quel di Cassibile, firma l’Armistizio, ossia la resa incondizionata dell’Italia agli Alleati. È l’inizio della guerra civile. L’8 settembre 1943 verrà ufficializzata questa importante firma la quale, in ottobre, culminerà nella cobelligeranza italiana al fianco delle truppe alleate.

È in questo contesto, il 1943, che Erio Codecà fa il proprio ritorno in Italia, direzione lo stabilimento FIAT Mirafiori, inaugurato nel 1939 e già protagonista di una ondata di scioperi nel marzo del 1943.

All’alba degli Anni ’50, l’ingegnere Erio Codecà è tra i più influenti dirigenti della FIAT. Intrattiene trattative, prende decisioni vitali nell’economia della azienda, muove e tesse fili prettamente tecnici del colosso torinese. Ma lo fa costantemente nell’ombra, in modo discreto e riservato. Non ha nemici, non ha a che fare con il vulcanico e borbottante, sovente violento, mondo sindacale.

Nel 1952, Codecà riceve alcune minacce. Da chi? Non è mai stato chiarito ufficialmente. Fatto è che il dirigente ha paura e condivide i propri timori con la famiglia ed i collaboratori più stretti. La sua abitazione è messa sotto controllo ed osservazione dalle Forze dell’Ordine. Invano.

L’omicidio

Erio Codecà

È il 16 aprile 1952. Torino, Via Villa della Regina, civico 24. Le ore 21:00 sono trascorse da poco. Come solito, l’ingegnere Codecà esce con il cane per la consueta passeggiata serale. Uscito di casa, ecco il marciapiede della via. La sua FIAT 1100E è ordinatamente parcheggiata sul ciglio della strada. D’un tratto, un colpo di arma da fuoco risuona e riecheggia per la tranquilla via, udito distintamente da molteplici persone, ad iniziare dalla domestica di casa Codecà.

Codecà si accascia a terra, colpito da un singolo proiettile penetrato nel corpo dell’ingegnere attraverso l’ascella destra.

Erio Codecà è morto. La moglie, Elena Piasescki, e la figlia Gabriella (12 anni) apprendono la notizia mentre sono ancora fuori Torino, al mare, in Liguria.

Le indagini si rivelano complesse e, probabilmente, minate ed inquinate da preconcetti, intrighi e trame ad oggi ancora non svelate. Anzitutto, si è trattato di un omicidio premeditato: un agguato studiato ed architettato nei minimi dettagli, frutto, probabilmente, di pedinamenti, appostamenti che durano da chissà quanto tempo. Codecà era, dunque, un obiettivo. Già, ma di chi?

Gli investigatori intraprendono un cosiddetto “filone rosso” che condurrà all’arresto di Giuseppe Faletto, soprannominato “Briga” o “boia”, ex partigiano di area comunista appartenente alle Brigate Garibaldi. Personaggio non affidabile, Faletto: sin dai tempi della Resistenza, è protagonista di episodi a dir poco disdicevoli. Si parla di rapine, estorsioni a ex (o presunti tali…) industriali fascisti, proseguite anche dopo la fine delle ostilità. Si vanta della propria crudeltà e di aver ammazzato decine di persone.

Giuseppe Faletto, arrestato nel 1955, è un uomo il quale, indubbiamente, ha agito ed agisce nella illegalità, ma le prove a carico dell’ex partigiano circa un suo coinvolgimento nell’omicidio Codecà appaiono scarse e farraginose. Il movente sarebbe l’odio di classe ma questo non basta a fare di Faletto l’assassino di Codecà. Faletto, dunque, è assolto nel 1958. Questo, almeno, è il verdetto della Magistratura.

L’unico sospettato ed accusato per il delitto di Erio Codecà è, pertanto, scagionato. A questo punto, si apre il “mistero” attorno all’omicidio del dirigente della FIAT.

Si vocifera di documenti cifrati ritrovati nei cassetti della scrivania di Codecà: a quanto pare, documenti non inerenti alla produzione industriale e alle attività aziendali della Casa automobilistica e motoristica di Torino.

Cosa contengono queste carte? Codecà è rimasto vittima di intrighi e trame nazionali o internazionali? Si cerca di capire i rapporti con l’Est Europa ed i veti americani in questo senso. Codecà, come sappiamo, ha operato anche nell’Est Europa, in Romania in particolare: forse è al centro di scottanti casi di spionaggio industriale tra Italia – Paese NATO e nell’orbita anglo-americana – ed Est Europa, i cui Paesi sono sotto l’influenza sovietica?

Un episodio, in quei giorni del 1952, suggerisce di perseguire la pista che conduce agli ambienti sindacali di estrema sinistra. Alla FIAT Grandi Motori – divisione della azienda torinese dedicata al settore industriale e marino, attiva dal 1923 al 1966 – appare una inquietante scritta che recita: “E uno!”. Un chiaro riferimento all’omicidio di Erio Codecà: uno in meno, secondo il mai identificato autore del macabro messaggio. Non sarà la sola scritta del genere ad apparire a seguito del delitto Codecà. Indubbiamente, gli ambienti di estrema sinistra più radicali e violenti nutrono un odio ideologico verso qualsivoglia dirigente, identificato quale nemico: da qui, le scritte anche contro Codecà. È ipotizzabile che questi ambienti siano materialmente coinvolti nell’assassinio dell’ingegnere della FIAT, benché poco noto anche all’interno del mondo operaio della stessa Casa del Lingotto?

Domande, dubbi, sospetti, piste scartate per mancanza di prove, verosimili insabbiamenti di verità ancor più scottanti e scomode. Le risposte, tuttavia, scarseggiano. Anzi, sono assenti. Questo è il caso Codecà, un omicidio a tutt’oggi insoluto. Un killer – abile e scaltro – mai svelato: ha agito da solo o è stato armato da mandanti agenti a livelli superiori? Vendette e rancori mai sopiti per i trascorsi del dirigente in Germania ai tempi del Nazismo? Oppure le ragioni sono da ricercare in presunti segreti industriali elargiti sottobanco ai Paesi in orbita sovietica?

Un autentico mistero italiano figlio di un’epoca, un insoluto rompicapo che non troverà mai soluzione.

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